Il paese è nel comune dell’Aquila, Appennino centrale, in Abruzzo, cioè una buona dose di margine, rispetto alle città, ai centri connessi e popolati, alle aree dell’incontro, delle decisioni. Un paese, uno dei tantissimi di cui è piena l’Italia, senza “perle”, con un suo fascino rurale, una sua umanità, qualche pollaio, orti, campi, boschi, stalle, una sua sufficiente vivibilità. Insomma uno di quei luoghi dove raramente si sceglie di andare a vivere. Poi arriva una pandemia, lo smart working, per chi ha potuto: bisogna stare in casa e non allontanarsi troppo. Così un luogo apparentemente sfigato diventa meno claustrofobico di altri.
STAGIONE #1
Primavera. Appennino Centrale. La nostra prima pandemia.
Miozzi – I Quarantozzi hanno un cane, Miozzi. A cento metri dalla porta di casa loro inizia un sentiero che porta nel bosco. Miozzi sente odore di primavera e di amore interessato. Il sentiero appartiene allo sterminato territorio verde dell’Abruzzo ed è molto poco frequentato. L’Abruzzo, in primavera, è un’isola relativamente poco contagiata, non travolta dall’emergenza ospedaliera innescata dalla pandemia, drammatica altrove. Ma non si può uscire, se non per necessità.
Miozzi è il motivo per varcare la soglia di casa, necessariamente e strumentalmente, il bosco è il naturale richiamo per evitare qualsiasi incontro e far riposare gli occhi intrappolati in schermi di tutti i tipi, per la maggior parte del giorno. Fortunati, i Quarantozzi, ora; di meno vent’anni fa, quando decisero di venire ad abitare qui in uno dei centri dell’Appennino che si spopola, raggiunti malissimo dai mezzi pubblici e senza servizi, se non hai la patente e la macchina, per tacere della connessione internet.
Lavoro – Dopo anni trascorsi a inseguire multiformi “Diciassette barrati”, la parola smart working fa irruzione in casa Quarantozzi come un’avveniristica realtà. Durante la quarantena, lavorare da casa, per chi può, è misurarsi con la propria responsabilità e con il frigorifero pieno; per chi non può, è aspettare sostegni dallo Stato o inventarsi soluzioni per adeguare il proprio lavoro e cercare di riempire il frigorifero.
La scoperta del tempo da usare in modo nuovo è l’altro ignoto che visita casa Quarantozzi.
STAGIONE #2
Estate. Appennino Centrale e una tappa al mare. Apriamo tutto, chiudiamo tutto.
Adagio – Assembramenti in mascherina sulle vette dell’Appennino. I Quarantozzi sono potuti uscire dal paese e lì fuori c’è il Gran Sasso percorso da tanti, molti, più turisti del solito. «Bisogna stare all’aperto, l’aria di montagna è meglio del mare, il virus ama l’umidità, al mare c’è più gente, in Abruzzo, come in Molise, ci sono stati pochi contagi e poi non ci va mai nessuno»: sarà stato tutto questo rumore di fondo a rendere le montagne abruzzesi così eccezionalmente seducenti. Invece sui sentieri del paese nessuno in più, chilometri quadrati di vegetazione, animali selvatici, rari esseri umani e Miozzi. E a lavoro si può iniziare a tornare tutti, sì, va bene lo smart working, grande conquista, ci si stressa e si inquina meno, ma la sala mensa chiama a raccolta i Quarantozzi di tutto il mondo.
Poco moto – Il movimento dura poco, qualche mese per rivedere amici e parenti e stare insieme, seguire qualche spettacolo, quasi sempre all’aperto, perché, in fondo, che ne sappiamo di questo virus se pure i virologi litigano tra loro? E i Quarantozzi tornano a spasso nel paese, dove, gira voce, pare che stia per arrivare anche qualcun altro ad abitarci. Numeri importanti: quattro persone tutte insieme, un’impennata storica di densità di popolazione. Nei prossimi mesi di reclusione i residenti avranno buona materia per le loro indagini interne, su identità, provenienza, occupazione, orientamenti vari dei nuovi, impavidi, arrivati.
Qualche passo oltre il margine.