Una nevicata improvvisa, appena dopo il tramonto. La temperatura è scesa giusto di quel paio di gradi per trasformare il nevischio in fiocchi molli e spugnosi.
Mezz’ora dopo siamo già ben sotto lo zero e la neve si è fatta tersa e dura. L’esperienza dello scorso anno mi ha insegnato che questa è una delle circostanze peggiori della nostra vita qui: l’acqua del torrente, di colpo, si pietrifica nei tubi, formando lunghi ghiaccioli maledetti. Così istintivamente apro il primo rubinetto che mi trovo dinnanzi, per controllare la situazione. L’acqua c’è: il primo problema per ora è sotto controllo. Mi riaffaccio alla finestra: le altre casupole della borgata sono impallidite dalla neve. Schiudo le imposte, ansioso di udire lo spazzaneve salire per la stradina del bosco. Niente. Dalla baracca sotto casa però giungono attutiti gli strepiti delle faine, che, indispettite dal rumore che ho creato, devono essersi dileguate in qualche anfratto della borgata. Nel bosco un allocco accenna un saluto.
Puoi scorgere solo gli occhi, dietro i quali non c’è un volto, un muso, un corpo.
Scendo nel piazzale a coprire la macchina, ormai avvolta da una soffice coperta di neve. Lo scricchiolio della neve ghiacciata sotto il mio piede copre un altro rumore, leggermente fuori sincrono; tanto che, quando mi blocco un secondo, in preda ad una certa angoscia, sento quell’inquietante rumore, non più malcelato dalla neve che si sbriciola al mio passaggio.
Non posso far altro che voltarmi di scatto verso il bosco, da cui proviene quel suono secco, come di legni che vengono calpestati e quasi macinati. Ecco, come l’anno scorso, la stessa sensazione di essere osservati dal bosco.
Se hai fortuna e cogli il momento più propizio, riesci perfino a incrociarli quei due piccoli fanali che luccicano, con un riflesso rosaceo o azzurrino, dipende dall’attimo in cui penetri quello sguardo. Puoi scorgere solo gli occhi, dietro i quali non c’è un volto, un muso, un corpo. Occhi che ti fissano per qualche istante, per poi, con un tonfo un po’ ciocco, salire sul crinale quei pochi metri che bastano a rifugiarsi nel buio e a lasciarti quell’angoscia iniziale.
Ovviamente niente di tutto questo sarebbe potuto accadere in presenza di Bergère, che corre come una forsennata su per il sentiero e per la parete montuosa, su e giù, abbaiando, sacramentando e sollevando col muso la neve rimasta farinosa in quei punti dove non è stata ancora calpestata. Bergère trasforma tutto in gioco, in schiamazzo, in bisca.
Ma stavolta quando ti giri gli occhi senza faccia non li vedi.
Ma il biscazziere lo fai un po’ anche tu, quando, nel vuoto che segue la scomparsa degli occhi senza faccia, ti affanni ad alzare la voce per esclamare qualcosa, qualsiasi cosa interrompa quel silenzio fatto di tanti occhi che ti osservano da ogni angolo di nero.
Poi ti senti un fifone: allora torni indietro a coprire meglio la macchina per la notte, la tiri lunga il più possibile, scruti la montagna e ti fai anche qualche passo nel sentiero che va verso la miniera. Azzardi perfino qualche richiamo, un abbaio di capriolo o un fischio. Niente. Torni sui tuoi passi: hai superato la paura di essere pauroso e puoi salire verso casa soddisfatto. Fai qualche passo e di nuovo senti quello scrocchiare fuori sincrono. Ma stavolta quando ti giri gli occhi senza faccia non li vedi. L’angoscia ti assale di nuovo e sali i gradini di pietra due alla volta, non importa che siano ghiacciati. Quando oltrepassi il cancellino ti senti al sicuro.
Così ti immagini le risate si son fatti quegli occhi a vedere te che scappi, ritorni, sali in montagna, e poi te la dai a gambe.
Ci sarà qualcuno che avrà finito di leggere ridendo e deridendo. Ma almeno una volta quell’orrore cieco che ho descritto l’avrà provato anche lui, camminando nel bosco di sera, o anche in città, quando ti senti inseguito dal silenzio e dalla nebbia.