testo di Davide Torri
Con “Verso il bianco” e “Mosto” termina la mia proposta di “Cinque libri per l’estate e per pensare”. Cinque libri e un solo romanzo, parafrasando Woody Allen, potremmo dire: “Ehi! Siete un sacco a scrivere e io sono da solo a leggere”. Quando scrivete un libro di montagna, scrivetelo per davvero. Come un vero libro. Senza fretta, senza pensare che un libro debba poi (per forza) diventare un film o una serie tv, cercando di parlare (anche) ad un pubblico che ama la letteratura vera e non solo le storie, smart ma sempre storie.
— Qui puoi leggere la prima proposta di “Cinque libri per l’estate e per pensare” .
VERSO IL BIANCO, Paolo Miorandi, Exòrma Edizioni, 2019, 13,50 €
Le buone librerie dedicano, in estate, uno scaffale intero ai libri sul camminare. Ovviamente Henry David Thoreau su tutti e Thomas Bernhard, Herman Hesse, Rebecca Solnit e poi guide alpine, filosofi, medici, suore, tronisti, che vedono in questa azione molto di più di un banale spostamento dal punto A al punto B? Manca però un autore, amato da Kafka, Benjamin, Sebald, Coetze, Canetti, che del camminare ha fatto il suo (unico) amore. Si tratta di Robert Walser. Con Dürrenmatt e Frisch è il più importante scrittore svizzero di lingua tedesca del Novecento.
«Perché sono due le necessità che convocano il pellegrinaggio sulla strada: fare penitenza e rendere grazie».
Su questo autore, folle e ancora a molti sconosciuto, è stato appena ripubblicato da una intelligente casa editrice un piccolo testo dal titolo “Verso il bianco” del roveretano Paolo Miorandi. Leggerlo è il modo più facile per spingerci poi ad avventurarci nelle pagine walseriane e, soprattutto, per apprezzare il nostro girovagare per le montagne.
«O anche soltanto camminare con qualcuno che sentì camminare assieme a te, parlando, finalmente senza paura, di una cosa venuta in mente lì per lì, oppure stando zitti».
L’autore è psicoterapeuta e poeta, due mestieri che gli permettono di scavare un poco di più nelle biografie degli altri e di usare una scrittura che risulta magica e leggera. Questo è un libro sul camminare, sul vagabondare senza meta, sul pellegrinaggio delle memorie nei luoghi che hanno segnato il nostro vivere, sull’arte del funambolismo.
E così il diario di viaggio di Miorandi ci porta nel cuore della Svizzera, sull’Appenzell. Nella Svizzera che ognuno di noi immagina (mucche, prati curati, campanili appuntiti) ma che in fondo non amiamo troppo, la figura di Walser ribalta tanti paradigmi. Nel paese delle banche fa bene ricordare che «una banca sia proprio una cosa stupida, in primavera».
Lo sguardo di Walser ci accoglie da subito, in copertina, mentre l’autore dichiara che i libri dello svizzero sono come una «sottomissione alle nuvole». Il libro-viaggio di Miorandi, andando a ritroso nei luoghi walseriani, comincia dal capitolo 7 per chiudersi al 1: sette capitoli come sette sono i passi che Walser fa nel campo innevato prima di cadere a terra. È il giorno di Natale del 1956: nelle storie di Robert Walser l’inverno e la neve hanno sempre qualcosa di magico e bello.
Miorandi parte da dove Walser si è fermato. Per ventitré anni. In un manicomio. Miorandi racconta anche di sé e i suoi sono frammenti che ben si incastrano in questo viaggio tra luoghi concreti e immaginari. La visita ad Herisau, ai monumenti tardivi dedicati a Walser, al manicomio del paese che ora si chiama (cambiamo le parole per allontanare la loro pericolosità) Psychiatrisches Zentrum Appenzell Ausserhoden sembrano portarci in una montagna incantata e sono le pagine più belle.
«Non occorre vedere nulla di straordinario. Quel che si vede è già tanto».
Con Miorandi entriamo nel luogo che ha nascosto al mondo per più di vent’anni lo scrittore svizzero e la sua scrittura.
«Che in manicomio non ci vai per scrivere ma per fare il matto» ⁽¹⁾
Sorprendenti e iconiche sono le immagini dedicate al funambolismo. Arte capace di riportarci ai tempi in cui il saper fare era qualcosa di significativo. Camminare sul filo è da sempre sinonimo della vita. E oggi questa pratica esce dalla tenda di un circo e ci invita ad alzare gli occhi perché «da lontano il filo sembra un taglio nel cielo».
«Molti sono gli esercizi che si possono fare sul filo (…). Alcuni fanno parte della pratica di ogni funambolo, altri sono il segno distintivo di pochino di uno soltanto». ⁽²⁾
E, passo dopo passo, rigorosamente all’indietro, tra paesaggi sempre più bianchi e magici l’autore ci racconta di come l’atto di scrivere sia un atto di libertà. Solo camminando Walser era in grado di scrivere «La libertà è l’unico terreno sul quale uno scrittore può essere produttivo. Finché mancherà questa condizione, mi rifiuto di scrivere».
Walter Benjamin ha amato le storie di Walser proprio perché “iniziano laddove finiscono le fiabe”. E anche Miorandi sembra in alcuni tratti raccontare una fiaba: si viaggia sul Walser Pfad attraverso le sue poesie, pezzetti, microgrammi, piccole pietre da posare a terra per ritrovare la strada anche al buio. Il libro è come una biografia incompleta (si racconta degli ultimi anni di vita dello scrittore svizzero) ma profonda dove anche la geografia dei luoghi non è casuale.
«Guardò i due flussi che scorrono paralleli per un tratto, si sovrappongono e cominciano a mescolarsi. Li riconosco dal differente tono grigio delle acque». ⁽³⁾
E quando, per dovere, “Verso il bianco” sembra diventare dolente, l’autore ricorda che il suo è un libro dove il camminare è fondamentale e lì ci riporta.
«Mi aveva insegnato a riconoscere i funghi, almeno le specie commestibili più comuni (…) risento i rumori attutiti nell’aria del bosco, i passi, il frusciare del bastone da montagna che fruga nell’erba alta (…) raramente, un richiamo, un suono più che una parola, come dire, ci sei, io sono qui».
Le pagine dedicate al camminare, alle passeggiate di Robert, in compagnia di Carl Seeling, e a quelle di Paolo sono perfette e ancora di più quando il vagabondare senza meta sembra trasformarsi nel posare passi uno davanti all’altro su una corda d’acciaio tesa a dividere il cielo.
«Andare a spasso è un atto di presunzione».
Vi è venuta voglia di leggere, dopo il bel libro di Miorandi qualcosa di Robert Walser? Adelphi ha ripubblicato (proprio un paio di giorni prima di chiudere queste righe) I Fratelli Tanner con la stessa copertina dell’edizione del 1907.
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⁽¹⁾ c’è un altro matto che, ad un certo punto ha chiuso con la scrittura. Un poeta. Figlio di Pasolini e di quel Friùl arso e desolato. Federico Tavan. Cercatelo.
⁽²⁾ http://ilfunambolo.com
⁽³⁾ https://library.weschool.com
MOSTO, Samuele Canestrari , MalEdizioni, 2019, 14 euro
Chiudiamo la cinquina con qualcosa di speciale. Un libro che non ha testo ma immagini dove, ognuno di noi, può ben costruire una storia che, se non sua, certamente è quella di qualcuno della sua famiglia, uno zio barba, un nonno. Un libro che, mentre sei a bere un bianco fresco in un rifugio alpino, è capace di aprire paesaggi che sembravano nascosti.
Samuele Canestrari è un giovane disegnatore che si trasferisce da una città di mare, turistica e affollata, a un paesino nel mezzo degli appennini romagnoli. (Eh, la montagna…). Non lo fa per inseguire la retorica del cambio di vita, della lentezza, di una vita più autentica: semplicemente si sposta dove la vita lo conduce. E osserva. Ma osservando, contro questa lentezza ci va comunque a sbattere, e ne fa qualcosa di suo: un libro disegnato. Un libro che ha bisogno di tempo, di pazienza, per diventare una storia. Come il mosto che deve invecchiare per diventare buon vino, contiene già tutto quello che serve: volti muti che guardano il lettore come a dire «Chi sei te? Da dove arrivi? Mica ti ho mai mai visto qua», tralicci del telefono, atmosfere sospese, ma anche presenze irreali che sembrano voler smentire la concretezza della matita che le descrive. Il mosto di Samuele Canestrari è un liquido denso fatto di grafite, cancellature, inquadrature sui dettagli e un segno maturo e onesto, che non ha paura di sporcare il foglio e allo stesso tempo procede per sottrazione, giocando con la luce e usando la gomma per “tirare fuori” il disegno dalla carta.
Ho visto di persona Samuele disegnare su un grande foglio verticale: un artista, uno che riesce a trasformare storie raccontate in immagini, come un danzatore su un palco traccia linee e le trasforma in animali, uomini, donne, attrezzi di campagna.
Mosto è un libro illustrato dove ogni disegno potrebbe vivere di vita propria e stare lì, a lungo, a raccontarci di altre storie: di domeniche al sole, di campi battuti da vento, di gente che si ammazza di lavoro.
Mosto è la prima di una serie di coproduzioni della casa editrice MalEdizioni con etichette indipendenti, pensata per sostenere e dare maggiore visibilità al mondo delle autoproduzioni, un sottobosco invisibile e selvatico sconosciuto a chi non frequenta i festival di fumetto e illustrazione. In questo caso l’altra metà del progetto è Libri Somari, di cui Samuele è fondatore insieme al disegnatore Ahmed Ben Nessib, con il quale ha condiviso il percorso alla Scuola del Libro di Urbino.