testo di Johnny Bertelle
E noi cadrem in un fulgor di gloria,
schiudendo all’avvenir novella via:
dal sangue spunterà la nuova istoria de l’Anarchia.
– Inno della rivolta, di Luigi Molinari, 1904
“E noi cadrem in un fulgor di gloria…”
Voci basse, stonate.
Il fumo aleggia a mezz’aria nel bar. I nostri occhi lucidi per le parole che ci toccano il cuore e per le troppe birre in corpo. Ancora oggi, con alcuni amici, la cantiamo con gli occhi chiusi, lasciando che la memoria ritrovi le parole. A 16 anni disperavo di avere davanti a me una vita di schiavitù economica, scandita da riti religiosi ridicoli, conscio dell’inesistenza di Dio e affamato d’avventura.
Piazza Isola mi fece scoprire un mondo inimmaginabile di possibilità, di animi dediti alla ricerca d’attimi di meraviglia. La piazza era popolata di eroi reali che parlavano di montagne selvagge, di rivoluzioni e cioke(1) strepitose.
Con Diego arrampicai per la prima volta. Aprimmo una via sul Bus del Diaol, sulla parete ovest(2).
Un giorno mi disse: “Utu gner a rampegar?”(3)
Sugli scalini di piazza Isola la domanda mi rotolò addosso come un macigno, mentre mascheravo l’inquietudine staccando l’ennesima ciunga(4) sulla quale mi ero seduto. L’inquietudine nasceva dal dubbio di non essere all’altezza dell’invito. Mi chiesi se le infinite traversate orizzontali nella palestra del Telva, spezzate da risate, battute e sogni accennati, erano sufficienti a prepararmi a questa avventura? Il pensiero mi folgorò, ma il mio viso non tradì l’esistenza del dubbio.
“Schiudendo all’avvenir novella via…”
L’attrezzatura ovviamente era di Diego e se non ricordo male fu Aminta(5) a prestarmi le scarpette. Quella mattina vidi per la prima volta la valle del Mis: il lago lungo e stretto, verde scuro e poi le forre, le sconosciute e ingarbugliate cime che mi guardavano da lassù.
Gena abbandonata e imperturbabile. Non ha paura di nulla Gena. Testimone di vita senza inutilità. I muri di sasso caldi dal sole racchiudono gli sbadigli delle porte spalancate.
Poco a poco il sentiero ci porta in alto, verso il limite del bosco, sopra il quale i mughi carichi di resina profumano i monti. Il bivacco Valdo è arancione, un pugno nell’occhio, ma è gradito anzi implorato dopo quattro ore di cammino, s’erge sul finir del latifoglio tra rocce bianche ed erbe.
Ma un altro mondo mi attende più su, dopo un sentiero incerto, luoghi da camosci, voragini ed una traversata sotto il buco nero e ciottoloso che dà il nome a questa pala che mi sovrasta: el Bus del Diaol. Il sole ora è caldo e Diego trova il punto dove tutto ha inizio, m’indica la direzione. Gli occhi brillano, sale veloce e sicuro.
Le mille sensazioni che mi affollano spariscono improvvisamente quando sento la voce del mio amico che mi dà il via libera. “Parti!”. Tutto si concentra sulle piccole cose: appigli, colore e solidità della roccia. Parto. Una strana pace mi lava da capo a piedi. E’ bello, sorrido, salgo veloce. Recupero chiodi, nuts ed il primo tiro è finito. Diego mi guarda sorridendo, non serve parlare. E quando volai sul passaggio più duro mi disse, con quel suo mezzo sorriso, di aver udito un gridolino… Mi imbarazzai non poco.
Più tardi, nel bivacco, ripercorrendo la via la dedicammo a Peter Stoll, un componente del gruppo terroristico tedesco Baader-Meinhoff(6), morto in carcere e che, probabilmente, si era nutrito alla mia età dei miei stessi sogni.
“Dal sangue spunterà la nuova istoria de l’Anarchia…”
Il giorno dopo Diego aprì un’altra via sui Feruch, in solitaria, mentre io lo seguivo dal bivacco. L’orgoglio di essere suo amico mi riempiva il cuore.
Con Raffaele(7), alcuni anni dopo, aprimmo un’altra via sul Bus del Diaol, sulla parete nord est. Diversa la memoria del mio stato d’animo di allora. Già spavaldo dopo tante arrampicate con amici e da militare, volevo ritornare lassù, questa volta da primo, scegliendo una via, una linea su questo monte che sentivo puerilmente mio.
Fu una salita bella, al sole caldo, maglietta e pantaloni corti. In cima: soddisfazione, gioia e pensi a dove sei. Guardi giù, sotto ai tuoi piedi, cerchi di fissare nella memoria abissi e cime, il pensiero mi sfiora: sarebbe un buon posto dove morire guardando il cielo.
Al ritorno, il buio ci sorprese appena sotto la forcella dei Pon. Accendemmo un fuoco per riscaldare alcuni sassi, per poi ricoprirli di rami di mugo. Lì sdraiati senza sacco a pelo e cibo, passammo la notte fumando un pacchetto di MS.
Fu grazie alla montagna che superai la rabbia di dover “far la naja”, passandola per fortuna quasi tutta ad Arabba a sciare e arrampicare.
Dopo due stagioni come pastore d’alpeggio a Casera Razzo sapevo di non poter abbassare la testa, di non poter passare una vita in fabbrica e me ne andai, deciso di svegliarmi ogni giorno davanti ad un paesaggio diverso.
Ho trovato in Tasmania altre montagne, altri luoghi dove nessuno era mai stato, fiumi dalle rapide inebrianti e dalle felci giganti.
I monti mi hanno sempre accolto e nel loro silenzio riconosco i miei confini.
1. Ubriacature
2. Diego Dalla Rosa e Johnny Bertelle il 19.07.1978; Via Peter Stool, per il pilastro centrale della parete sud ovest, 200 m, IV, 2 pass. di IV+ e 1 pass. di V.
3. Vuoi venire ad arrampicare?
4. Gomma americana
5. Attilio Aminta
6. Il gruppo venne fondato nel 1970 da Andreas Baader e Ulrike Meinhof con il nome di RAF (Rote Armee Fraktion)
7. Johnny Bertelle e Raffaele Dal Pra il 19.05.1981; Via Andreas Baader, per la parete nord est e lo spigolo nord, 220 m, III+, IV e 1 pass. di V.