Poco importa che il suo si sia costruito disegnando curve sui pendii imbiancati di neve del Pinto e dell’Olimpo, e il mio abbia messo radici accarezzando il calcare di Kalymnos e di Leonidio. Alla fine, viaggiando dopo aver varcato lo Ionio fino alle coste dell’Anatolia, si attraversano tanti microcosmi diversi, e a conferire loro una indissolubile unità è il collante del mare, “elemento immortale della Grecia”.
A dispetto del luogo comune che vorrebbe il mondo diviso tra gente di mare e gente di montagna, chi è attirato dai grandi spazi delle terre alte non può non sentire il richiamo dei vasti orizzonti del mare. Per chi è preso in mezzo da questi due poli, la Grecia, arcipelago di monti che emergono dal mare, non può non diventare terreno di elezione. E il Mani, il dito centrale del Peloponneso, piccola penisola montuosa protesa verso il Mediterraneo, riesce a combinare la commistione di mare e montagna in un modo speciale, perché vi aggiunge il sapore di una sua peculiare storia aspra e antica, che rifiuta di lasciarsi seppellire dagli anni e dalla modernità e riemerge prepotente e imprevista ad ogni curva del viaggio.
Così siamo qui, fra terra e mare. Una vacanza di famiglia, con il kayak fissato sul tetto della macchina, che servirà per esplorare le scogliere e le calette della costa. Non sembra esserci materia per un libro che possa interessare altri che i partecipanti al viaggio. Ma per trasformare un ricordo privato in un racconto che si apre sul mondo basta essere curiosi, e spingere lo sguardo oltre le contingenze immediate.
Alberto è curioso, e in Mani ci va sulle orme di due grandi curiosi: Patrick Leigh Fermor, che al Mani ha dedicato uno dei più bei libri di viaggio e il Mani ha eletto a dimora costruendosi una casa nel paese di Kardamyli, e Bruce Chatwin, che del Mani non ha scritto ma nel Mani, ospite a Kardamyli di Fermor, ha scritto alcune delle sue pagine migliori, e nel Mani ha voluto che le sue ceneri venissero sepolte. L’omaggio di Fermor e Chatwin al Mani può ben essere preso a simbolo del debito di riconoscenza che l’Europa ha nei confronti della Grecia. Così almeno, mi sembra, è percepito da Alberto, che nel suo girovagare tra le pendici del Taigeto e capo Tenaro inseguendo le tracce dei due inglesi cerca “l’anima più antica del nostro essere europei”.