«Bambini, allora prendete la giacca che si parte, siete andati in bagno?». Ecco le parole che ancora sento nelle orecchie quando devo partire.
Sono passati molti anni dai miei primi viaggi perché, grazie ai miei genitori, ho iniziato molto presto. Le mete erano scelte dai miei, non quelle classiche imposte dai volantini o dalle agenzie di viaggio, non quelle che servono nei salotti per essere alla moda, ma quelle belle che ti restano nel cuore.
Fin da piccola ho viaggiato. Ho viaggiato in camper, in macchina, in moto, in barca a vela, in treno, in traghetto. Tanti mezzi, tutti con emozioni diverse. Tutti in età differenti e ognuno di essi ha arricchito il mio bagaglio di ricordi.
Ma, ad oggi, se mi chiedessero di raccontarne uno, sceglierei quelli fatti in camper. Era un’altra epoca, erano gli anni ’80-’90. Ero una bambina di appena 3 anni quando montai da sola sul mio primo letto a castello di quel camper, lungo 8 metri, che mi sembrava infinito. Io dormivo nel letto sotto, mio fratello, in quanto maggiore e quindi meno a rischio caduta, dormiva sopra. Siamo andati ovunque con quel camper: Turchia, Grecia, Spagna, Francia, Corsica, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Austria, Svizzera, Olanda, Alpi, Dolomiti, mare, montagna, collina e laghi. Ovunque. Viaggiare in camper è una concentrazione di sensazioni fortissime che sono ancora vive in me.
Una volta alle elementari mi fecero fare un tema “Dove hai la casa delle vacanze?” e io risposi “Io ho la casa in tutto il mondo”. Questa era la libertà che mi trasmetteva viaggiare in camper. Erano tempi diversi e adesso, se penso a certi luoghi dove siamo stati, mi domando come fosse possibile e quanto meno rischioso fosse viaggiare.
Si partiva, alla scoperta del mondo, senza sapere neanche bene cosa avremmo visitato perché lungo il percorso sbucava sempre qualcosa di inaspettato che meritava fermarsi a vedere. Mio papà alla guida e mia mamma, detta da noi “il piccione viaggiatore”, teneva le cartine e seguiva le strade confrontando parallelamente le Touring Club e quelle acquistate diligentemente prima di partire. All’epoca non c’era Google Maps, non c’era internet, non c’erano i navigatori di serie nel cruscotto: il viaggio era fatto solo di cartelli e mappe cartacee. Spiegazzate, macchiate, vissute, scarabocchiate, con gli angoli consumati dove si doveva piegare il foglio e quindi a volte anche bucate, ma era questo il loro fascino.
Il viaggio era emozionante anche senza sapere dove stavamo andando. Io da piccola, senza accorgermene, arrivavo a camminare nella valle dei templi ad Atene, a correre in Turchia, a visitare castelli della Loira in Francia, a camminare per le strade di Amsterdam e passare dietro la libreria di Anna Frank, a fare il bagno a Barcellona e tutto con la curiosità e la semplicità che solo gli occhi di un bambino possono avere. Avevamo il camper che, lentamente, data la potenza del motore e del carico di peso con la tecnologia dell’epoca, ci portava dove volevamo.
Chiudere la porta a Firenze e riaprirla per scendere a prendere una quiche lorraine in Costa Azzurra. Chiudere la porta a Firenze e riaprirla in Olanda lungo il canale con le papere. Chiudere la porta a Firenze e riaprirla immersi nella neve al Passo dello Stelvio sulle Alpi.
Era questa la magia.