Nei pressi delle sorgenti del Brembo e più giù, fino ai pascoli dell’Armentarga, in Val Camisana, ci sono centinaia di massi con incisioni rupestri.
Tracce antropiche antiche di almeno 2500 anni, ma anche più recenti.
Tra le nubi dense di umidità, il ruscellare sommesso dei tanti piccoli rivi che si perdevano annegando nelle torbiere dell’Aga, sotto la mole immensa dei giganti orobici, nel 1953 un giovane pastore di undici anni, proveniente da Clusone, incise un masso lasciando una traccia del suo passaggio: “Benzoni Venanzio pastore anni 11 1953 Clusone”.
Clusone è un comune della Valle Seriana, e il giorno in cui fotografai l’incisione ero incuriosita dal fatto che quel Comune fosse distante dall’Armentarga, in Valle Brembana. Mi affascinava l’idea di scoprire delle relazioni tra due vallate orobiche, separate dai grandi giganti, dalle vette più alte e aspre. Sapevo che le montagne non costituiscono solo un confine ma, soprattutto in passato, rappresentavano dei punti di contatto, come il Passo di Valsecca e le sue numerose incisioni dell’Età del Ferro stanno a testimoniare. Qualcuno infatti circa 2500 anni fa aveva dedicato a Pennino, il dio dei valichi e delle vette, un luogo di culto, una pietra su cui sono tutt’ora presenti incisioni antichissime, probabilmente per ottenere conforto e sostegno da entità superiori in un contesto che ancora oggi incute un profondo rispetto, che toponimi locali come Lago del Diavolo e Pizzo del Diavolo di Tenda testimoniano.
Su una di queste pietre è rappresentata una figura antropomorfa circondata da quelli che sembrano tre lupi, probabilmente dalla posa in cui la prima è raffigurata, si tratta di un sacerdote officiante un rito. Ammetto di avere il desiderio di poter raccontare la storia del sacerdote-mago e dei tre lupi, ma lascio agli archeologi svelare un arcano troppo remoto nel tempo. Invece la vicinanza temporale con quel giovane di 11 anni, il quale aveva certamente a che fare, in modo concreto e tangibile, con il contesto aspro e arcigno nel quale ci trovavamo, e dove si era trovato anche chi incise il mago con i lupi, mi rendeva estremamente curiosa per una storia che non sentivo così lontana.
Per questo la scritta di Venanzio Benzoni mi rimase incisa nella mente e, quando ad un corso in università mi capitò di incontrare Matteo Benzoni, che casualmente mi rivelò essere di Clusone, gli raccontai della pietra incisa. È emerso così che Venanzio è il suo prozio.
Io e mio marito ci siamo ritrovati in viaggio per andare a conoscere il pastore che a undici anni aveva inciso l’enigma che io avevo deciso di decifrare: desideravo risalire al motivo profondo che indusse un giovane ad incidere una pietra tra le pietre incise, a lasciare il suo segno come tanti altri, pastori, minatori e maghi o sacerdoti, avevano fatto prima e, sempre più raramente, dopo di lui.
A Venanzio portavamo in dono la fotografia di quella pietra incisa, che a causa delle incombenze della vita non aveva poi più visto, ma di cui si ricordava e della quale voleva parlarci.
La memoria di Venanzio ora vacilla, ma per fortuna la nostra indagine, risalente a circa due anni fa, è stata fatta per tempo e si è rivelata importante non solo per noi: al tavolo con i suoi figli sono emerse delle memorie di cui nessuno, eccetto lui e quel masso, erano a conoscenza.