Riccardo
Ho incontrato la guida al mare, ho solo accennato la montagna, cima Canali, lui ha telefonato al rifugio Pradidali ed ha prenotato. Adesso sono a posto, ho un mese per smaltire l’ansia, leggo tutte le relazioni possibili, incomincio a pensare al meteo, se mi ammalo, se l’auto si rompe in autostrada, se ce la farò. Sono fatto così.
Le Pale di San Martino mi hanno rubato il cuore, Cima di Ball, Pala di San Martino, Cimon della Pala, la Vezzana ed ora cima Canali. Ho iniziato ad andare in montagna a 50 anni, un paio di scarponi pagati 28 euro, uno zaino riciclato e il ricordo di un bambino che andava al campeggio in montagna con i frati che ti svegliavano in piena notte per camminare incontro all’alba, tra quei monti misteriosi. Poi il nulla, altre strade, altre montagne, un’altra vita da reinventare.
Il giorno è arrivato, sono con Riccardo, il figlio maggiore, c’è Eric la guida, la moglie, due figli e un tipo che fuma continuamente. Loro si fermeranno al rifugio per la notte, rientrando la mattina seguente, ho smesso di fumare da poco e l’odore della sigaretta mi disturba e mi tenta.
L’altopiano è stupendo, come sempre, mi sembra di conoscere ogni sasso, mi sento a casa, camminiamo in silenzio, Riccardo cammina con i figli piccoli della guida, li accompagna, giocano e scherzano, in lontananza appare cima Canali, enorme, color ruggine, il cielo è azzurro, le uniche nuvole arrivano dal tipo che fuma.
Si avvicina: «Perché vai in montagna?» mi chiede con voce roca.
Provo a rispondere qualcosa del tipo: «ho fatto tante cose nella vita, poi ho scelto la montagna, spiritualità ecc.».
«Ma tu domani vorresti salire lassù» indicando cima Canali.
«Sai che andare con una guida porta sfiga?»
Già con la prima domanda e la puzza di fumo incominciava a starmi sulle palle.
«Pazienza» rispondo.
Non parla più, ho voglia di fumare, una sola sigaretta, sentire in gola quel sapore, tossire, lui mi guarda.
«Vuoi una sigaretta?»
«No, grazie».
La giornata è stupenda, il tipo si blocca, mi guarda:
«Comunque hai ragione, è meglio morire in montagna che in un letto d’ospedale».
Fanculo il termine più elegante che penso, non ho voglia di litigare con uno sconosciuto.
Fanculo.
Il Rifugio Pradidali è pieno, sono emozionato come un bambino, già il fatto di essere lì, di dormire tra le Pale di San Martino mi riempie il cuore. Eric, la guida mi chiama.
«Domani pensavo di salire per lo Spigolo Nord, facciamo la cresta, la cima e scendiamo per la via normale, bello vero?»
«Una meraviglia» rispondo.
Sono già in paranoia dura, guardo la cima, lo spigolo, la cresta, non vedo passaggi, sentieri, niente è tutto così verticale, inaccessibile per i miei pensieri.
Ceniamo, pasta al pesto insipida, pollo con patate.
L’uomo che fuma mi chiede se voglio vedere un video di terroristi che tagliano i prigionieri con la motosega, e di un incidente tra un’auto e un cervo, chiaramente con morti e feriti.
«Porca puttana!»
Lo ignoro guardando le foto sul telefonino, mentre lui si beve una caraffetta di vino rosso.
«Certo che non sei proprio di compagnia» mi rimprovera.
«Buonanotte!»
Eric si alza e chiede al gestore se può caricargli il telefono.
«Casomai domani succeda qualcosa…» queste le sue parole.
Sono cotto, troppe parole oggi, che aumentano la paura, chiedo alla guida se possiamo cambiare cima.
«Non esiste, siamo qua e domani andiamo».
Mi risponde lievemente incazzato.
Esco dal rifugio per guardare il tramonto, vorrei una sigaretta, c’è un’aria fredda, mi siedo su un sasso e leggo un Salmo.
«Il Signore è il mio pastore».
Dormiamo in un soppalco in sette, non ho il sacco lenzuolo, la coperta pizzica, il fumatore russa, la notte non passa mai. Riccardo ha paura delle zecche ed è la prima volta che dorme in rifugio.
Partiamo all’alba, Eric sistema i moschettoni e altri ferri strani, Riccardo è tranquillo, la sua prima arrampicata seria, ha una corda azzurra sulle spalle, camminiamo in silenzio, interrotto dal rumore dei moschettoni. Lo Spigolo Nord è sempre al suo posto, ho strane sensazioni, ho paura, rallento il passo, iniziano le difficoltà, non riesco a concentrami.
Eric mi guarda dall’alto e grida:
«Adesso scendo e ti tiro uno schiaffone, siamo qui per divertirci!»
Questo mi basta, non penso più a niente, arrampico come se fosse la cosa più naturale per me, uomo di pianura, guardo Riccardo dietro di me, i suoi occhi puliti, che diventano grandi quando cresce l’impegno, gli strapiombi sotto di noi, la parete verticale sopra, sorrido, Riccardo sorride.
Riccardo è veloce, sembra non avere paura, faccio rotolare qualche sasso, chissà cosa pensa di suo padre, lassù in parete, legati da una corda azzurra, quel padre capace di svegliarlo in piena notte, per ritrovarsi in qualche rifugio all’alba a fare colazione con un piatto di minestrone.
Siamo in cima, non capisco bene cosa è successo, abbraccio Riccardo ed Eric. Dopo dieci ore di silenzio, incazzature, paura, risate, gioia e tanta fatica siamo ritornati al rifugio, abbraccio nuovamente Eric e lo ringrazio. Adesso ci aspettano altre tre ore per arrivare al parcheggio. Sono felice, stringo la mano a mio figlio, ho i polpastrelli arrossati con le bolle, un dolore al petto, guardo Cima Canali e forse vorrei piangere, ce l’abbiamo fatta!