Andartene via dalle cose fatte per fare, dalle luci e dalle macchine e da quello che hai già visto. Sentire la paura in fondo allo stomaco, quella che si sente al buio nel bosco da soli. Sentire freddo e non avere niente per coprirti, arrivare a un vicolo cieco e aprirti la strada con le unghie, perché non riesci a pensare a nessuna alternativa. Dimenticarti di mangiare e fare pipì e scorrere su Instagram i momenti d’oro delle vite degli altri. Entrare dentro ogni cosa come fosse questione di vita o di morte, come se i sassi sotto i tuoi piedi non fossero mai stati calpestati da nessuno. Essere quella te che non ha paura di scegliere, che vive senza schematizzare, che prende quello che viene. Che strappa le pagine e sale su un treno una sera d’agosto senza nessun motivo in particolare.
Ti metti sulle spalle uno zaino leggero: ci sono solo i quaderni pieni di tutte le tue crisi, scarpe di ricambio e quella te che forse esiste solo all’alba.
Aspetti qualcosa.
Poi all’improvviso non aspetti più.
Un angolino di fiamma si allunga sullo spigolo della montagna vicina, roccia apuana colorata di rosso. L’imbarazzo si sparge anche sulle vette vicine, adesso sull’orizzonte c’è il bordo superiore del sole, il contrario di un sorriso. Delle nuvolette stanno sospese, aspettando che i loro confini vengano ricamati per un istante. E la luce raggiunge anche loro, rosa sul cielo già azzurro. Ne infiamma i contorni, sono pietre preziose sul filo dell’alba.
Ecco quel riflesso che aspettavi fin dall’inizio, il raggio di fuoco che avvolge tutto il panorama, avvolge te, ferma in piedi su un sentiero senza vera destinazione, con la vita che ti scorre addosso senza che tu la possa fermare, in mezzo a un riflesso che non ti lascia neanche lo spazio per respirare. L’hai detto, dura un momento senza sconti: è già oltre.
Il sole è tutto intero, ora, appena sopra la linea dei monti. Rosso, conserva ancora qualche istante di alba rubandolo al giorno.
Ultimi bagliori e già il cielo sbiadisce, si mischiano i colori per fare spazio alla luce.
È tutto qui, è finito, cadi sulle ginocchia. Chissà se ti riuscirà mai di raccontare un inizio così, strisciando tra ciò che è stato e ciò che non sarà mai. Provarci e volare sempre, e chiederti: “Ce la farò?” e farcela. Oppure no.
Piano piano si allenta la morsa alla gola, lasci andare la paura. C’è il sole che sorge, sulle montagne del marmo e del mare. È un’alba resa diversa dai passi che l’hanno raggiunta uno degli ultimi giorni d’estate.
Ti piombano addosso la stanchezza della notte insonne, i singhiozzi continui, la fame.
Ti guardi da fuori, ora che il sole è già alto, le vette ti vorticano attorno e le nuvole corrono già via. Sola, immobile mentre tutto si muove.
Il succo spremuto sbatte la porta in faccia ai tuoi giorni di bambina, quelli delle mani strette e delle corde tese. Avanzi di qualche passo su una strada diversa. Apri le braccia e sei in caduta libera, vedi nero e hai paura, ho sempre odiato sentire il vuoto nello stomaco. Non sai cosa c’è dopo, ma cadere non è così male.
Poi l’ aria ti scivola addosso, hai il cielo negli occhi, accenni un sorriso: dove hai imparato a volare?
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foto:
1. Alba controluce in vetta alla Pania della Croce.
2. Alba ai piedi del Pizzo d’Uccello.
3. Cresta Garnerone a precipizio sul mare.