Il Monte Analogo, da qui in avanti, devo proseguire da solo.
Mi accorgo però che il mio capocordata ha deposto lo zaino, si è seduto a terra tenendo la testa tra le mani e sussurra qualcosa, forse a sé stesso: «Ancora una volta, avrei voluto odorare il fiato di un crepaccio, palpare una lastra, scivolare tra blocchi rovinosi, assicurare una cordata, soppesare il va e vieni d’un colpo di vento, ascoltare l’acciaio tintinnare sul ghiaccio e i piccoli frammenti cristallini precipitare verso la trappola della crepaccia sfarzosa…». Capisco René, eri ancora giovane quando hai saputo che il tuo biglietto di viaggio sarebbe scaduto prima del tempo, comprendo il tuo avvilimento interiore nel sentire d’un tratto che la malattia ti avrebbe fatto sfuggire la vita dalle mani. Oggi sono in grado di comprendere ciò che non potevo capire quarant’anni fa, ora che l’età mi ha fatto sentire le forze affievolirsi, ora che avverto l’aumentare dei ricordi con il parallelo diradarsi dei progetti, ora che potrei pronunciare pure io parole simili alle tue, perché sento la presunzione di essere riuscito a interpretarle.
«Non si può restare sempre sulle vette, bisogna ridiscendere… A che pro, allora? Ecco: l’alto conosce il basso, il basso non conosce l’alto. Salendo, devi prendere sempre nota delle difficoltà del tuo cammino: finchè sali, puoi vederle. Nella discesa, non le vedrai più, ma saprai che ci sono, se le avrai osservate bene. Si sale, si vede. Si ridiscende, non si vede più, ma si è visto. Esiste un’arte di dirigersi nelle regioni basse per mezzo del ricordo di quello che si è visto quando si era più in alto. Quando non è più possibile vedere, almeno è possibile sapere».
Dunque, René volevi sottendere che bisogna diventare “ciechi” per cominciare a vedere davvero? Forse è necessario perdere la forza e la capacità di arrivare sulle cime rocciose per potersi avvicinare alla vetta del Monte Analogo, «la montagna che unisce la terra al cielo»?
Bisogna spogliarsi dei nostri vecchi personaggi per: «diventare ciò che si è senza imitare nessuno»? Proprio come dicono i protagonisti del tuo libro che, a un certo punto, si apprestano «a rigettare l’artista, l’inventore, il medico, l’erudito, il letterato» e io potrei aggiungere, pensando alla mia storia, abbandonare, “l’istruttore, il titolato, il referente”.
È forse questo l’ultimo passaggio necessario per proseguire verso la cima del Monte Analogo? Occorre spogliarsi delle ambizioni, delle cariche, dei doveri e dei ruoli che impediscono di essere ciò che siamo davvero? Allora mi vedo, novello Pierre Sogol, frugare nella sabbia con la punta di un bastone trovando un peradam, il prezioso brillante convesso, mentre pronuncio parole semplici, con la serenità e la pacatezza di chi è consapevole: «qui, depongo il mio berretto gallonato che era una corona di spine per la memoria che ho di me».
Senza rinnegare ciò che è stato, perché la vita va vissuta nelle sue diverse fasi, gestita là dove possibile, a volte subita sperando ogni volta di non soccombere, andando avanti, anche tra gli errori, fino a «riuscire a sapere, quando non è più possibile vedere». Se questo è il messaggio di Renè Daumal, allora la cima del Monte Analogo dobbiamo saperla cercare dentro di noi.
Io non posso affermare di averla trovata ma, dopo la mia ricerca al fianco di Renè, mi sento di sussurrare sommessamente di avere almeno capito “come e cosa” essa possa essere.
Molto bello il racconto di Gabriele. Con leggerezza e garbo mi ha coinvolto nel suo viaggio, anzi, nella sua scalata, alla ricerca della vetta del Monte Analogo. Romanzo metaforico che, anche senza il finale, ritengo fondamentale per chi vuole vivere la montagna non solo come elenco di ascensioni. Un po’ d’invidia per Gabriele che ha saputo così profondamente guardarsi indietro e capire, anche se lo dice sommessamente, “come e cosa” possa essere la cima di quel Monte Analogo che è dentro ad ognuno di noi.
Grazie Rita per le belle parole del tuo commento e sono felice se, come scrivi, sono riuscito a coinvolgerti nel mio viaggio.
Bello camminare con te verso il tuo Monte Analogo.
Grazie!
Grazie a te Marina, sono contento se abbiamo camminato insieme verso il Monte Analogo perchè è proprio nella condivisione delle esperienze il segreto della sua misteriosa cima.