Impossibile determinarne un’unica origine. La loro geologia è un mistero come la roccia che le compone; hanno poco a che fare con le montagne che sei abituato a frequentare.
Irene Maria Bakkum, foto di Stefano Ciocchetti / Staffolo (AN)
«Lascia che ti spieghi.
Le montagne di questa singolare catena montuosa hanno caratteri cangianti e mutevoli, da sempre si muovono rimescolando le geometrie di un tangram che tende alle infinite possibilità.
Processi orogenetici che sono enigma e miracolo, rocce e rilievi indeterminati che solo un’occhiata frettolosa può illuderti siano assimilabili alle montagne che sei abituato a frequentare.
Ti puoi svegliare la mattina e scoprire che tutte le carte geografiche per giorni tenute aperte sul tavolo ed esaminate minuziosamente strizzando gli occhi tra i vapori dei pensieri e del caffè, sono ormai anacronistiche. Appare magari una cima impensata che la sera prima mancava.
Ho passato anni cercando di compilare una carta sufficientemente dettagliata che mi permettesse di esplorare quei monti metamorfici senza rischi e poche incognite ma appena pensavo di averli decifrati e riassunti ecco che affacciandomi alla finestra qualcosa era stravolto: i sentieri diventavano impercorribili, al posto delle cime ora voragini abissali, nuove forcelle lasciavano indovinare altri cammini.
Frequentando queste montagne ho trascorso giornate memorabili di sole tiepido e vento amico come di freddo pungente e pioggia impietosa. Lassù i ghiacci perenni convivono con le incursioni del Ghibli in una logica illogica.
Alla fine ho rinunciato a codificarle a priori e ho semplicemente cominciato ad amarle così come sono».
«Tu stai parlando di cose che non esistono.
Le montagne, per gli uomini che vivono il loro tempo limitato, sono fisse: sono sempre state lì, esatte, così come sono, divinizzate e contemplate proprio per la loro persistenza. Magari puoi sentire sassi cadere, frane e crolli più o meno grandiosi e appariscenti, qualche centimetro perso o acquisito…tutte cose però che, per gli uomini, non significano quasi nulla.
Le montagne non scompaiono e tantomeno possono sorgere».
«Ti dico che io le ho viste nascere.
Una dopo l’altra hanno composto un mosaico di pendenze e valli soleggiate, doline, massicci e pianori aridi, pascoli e orridi dove ancora non è mai arrivata la luce solare e dove ho paura di ritornare; creste che son lame di rasoi o dorsi di cammelli, verticali assolute, anfiteatri colossali e gole di echi eterni.
Alcune di queste montagne sono germogliate lentamente e sono rimaste fisse. Per me ormai stelle polari. Altre, invece, sono apparse e scomparse repentinamente e senza troppo clamore, ne è rimasto solo qualche avanzo roccioso, qua è là, che forse neanche il miglior geologo saprebbe tradurre. Montagne sfuggenti e leggerissime. Basta un vento sussurrato e senza che tu te ne accorga i profili sbiadiscono; confusi e assorbiti dal cielo spariscono liberando spazio.
Prova a fidarti. Se ti affacci a questa finestra e ti concentri vedrai forse qualcosa cambiare proprio adesso».
«Fammi guardare».
Impossibile determinarne un’unica origine. La loro geologia è un mistero come la roccia che le compone; hanno poco a che fare con le montagne che sei abituato a frequentare.
Chissà, magari la mamma è proprio quella cattedrale che vedi là dove il sole si specchia al tramonto.
«Lascia che lo sguardo navighi; io non potrò seguirti.
Come ti ho detto queste montagne sono variabili, tu hai le tue e io ho le mie, possono al massimo somigliarsi, avere natura comune, una stessa struttura, ma abbandona l’idea che possano mai essere uguali.
Io e te non avremo mai lo stesso orizzonte».
«Tu mi vuoi dire che è l’osservatore che determina la forma dell’altopiano e che io e te non potremmo mai camminare insieme su quelle montagne laggiù? Insomma, tu ad est, oltre quel pascolo, non la vedi quella cattedrale di roccia, quella rosa del deserto aspra e grigia?».
«Io ad est vedo una valle lambita da un torrente d’acqua cristallina, profumo di resina con una pineta e dei cavalli curvi lungo le pendici erbose…Te l’ho detto non vedremo mai la stessa cosa.
Sono montagne che siamo costretti ad esplorare da soli. Possiamo parlarne, possiamo raccontarci, provare a capirci ed immaginare ma non potrò venire con te».
«Non posso venire con te e tu non puoi venire con me, le vediamo entrambi ma le tue montagne non sono le mie, io ne vedo una emergere lo e magari tu una inabissarsi.
Non riesco a capire».
«Io posso dirti che questa finestra da cui guardiamo è sempre stata li, solo non sentivo l’esigenza di affacciarmi con attenzione.
Ad un certo punto della mia vita una strana malinconia ha bussato alla mia porta, un’inquietudine vorace mi mordeva lo stomaco e mandava in setticemia i pensieri. Qualcosa di importante era stato perso e poi dimenticato. Sapevo che ero complice e che mi servivano delle risposte ma non sapevo dove fossero nascoste.
Ho aperto tutti i cassetti e cercato sistematicamente in casa e in luoghi noti senza risultati. Non trovavo niente che rispondesse ai requisiti della mia ricerca smaniosa.
Ed ecco la finestra, era già lì da chissà quanto tempo ad incorniciare il mio altopiano.
Quando comincerai a camminare, passo dopo passo, ti risulterà chiaro che quelle sono in fondo le montagne più umane e familiari che tu abbia mai percorso e ti rallegrerai di poter partire senza mappe».
«Spiegati meglio».
«Sei ancora molto giovane sai, hai ancora tempo.
Vediamo se riesco ad aiutarti con un esempio più pratico.
Proprio nel centro del mio altopiano troneggia un grande massiccio, da quando è emerso non ha mai smesso di cambiare, è la montagna più ardua che io abbia mai frequentato; ad oggi, quando la visito, continuo a sbagliare sentiero e spesso mi ritrovo a dover fare repentine inversioni e modifiche di percorso. Alle volte torno a casa senza aver trovato niente e allora devo ricominciare dalla base per intuire dove ho sbagliato.
Quando cammino su quei sentieri, in ogni sporgenza o anfratto ti sento.
Proprio nella valle che sta alla base della montagna, un giorno caddi nello sguardo mansueto ma ostinato delle mucche al pascolo e improvvisamente uno strano peso si insinuò tra le mie braccia. Non pesavi che tre chili e mezzo.
Oppure, ricordi quella giornata feroce, di trincee e filo spinato, in cui proiettili di parole crivellarono le mura di casa? Tu misi in discussione la mia capacità di esserti padre».
Ricordati che qualsiasi cosa accada, se cerchi bene tra quelle pendenze, sarai sempre capace di sapere chi sei o di capire chi vorrai essere.
Se cominci a camminare, passo dopo passo, ti risulterà chiaro che sono in fondo le montagne più umane e familiari che tu abbia mai percorso e ti rallegrerai di poter partire senza mappe.
«Certo che ricordo, avevo ventitré anni e tu eri lontanissimo dal comprendere cosa stavo cercando di dirti. Tu ti eri arreso e io non lo sopportavo; non mi ero mai sentito così solo e arrabbiato. Vivevamo ormai in un limbo in cui dolore e incomunicabilità erano quotidianamente serviti al posto del pane».
«Esatto.
Un giorno mi sono deciso ad avventurarmi sul lato nord della montagna. Quella parete la guardavo da sempre con una certa preoccupazione, lì il tempo cambiava in fretta, il sole una grazia di pochi secondi ed eri sempre esposto al rischio di frane.
Ho trovato un anfratto angusto, una strettoia buia e piuttosto inospitale. La luce solitaria che filtrava dall’ingresso giocava con le sporgenze, lame bianche deragliavano modellando visi e figure in una performance di ombre cinesi: tra le strane presenze c’eravamo anche noi, noi quel giorno lì.
Ho capito perché eri arrabbiato, ho capito cosa volevi dirmi… È difficile prendersi cura sai? Forse oggi è arrivata l’occasione per scusarmi.
Insomma, hai capito? Quel massiccio è nato con te.
La montagna sei tu, o per lo meno, non proprio tu, ma la somma di quello che io ricordo di te, questo ho capito visitandola. Ogni singolo pinnacolo è lì per una ragione.
Quella finestra mi ha offerto la possibilità di combattere la contingenza del flusso del tempo per poterlo riabitare con lenti nuove e uno sguardo sano.
Mi ha offerto una montagna di ricordi che posso frequentare a mio piacimento; tra quelle pendenze ho imparato a scusarmi e a perdonare.
È uno strumento che vorrei che tu imparassi ad usare».
«Come puoi insegnarmi a scalare delle montagne che posso vedere solo io?».
«Non posso infatti, ma posso darti delle regole e dei consigli.
Quando è morta la mamma ho indugiato per anni su alcuni sentieri. Erano gli unici che volevo frequentare. Non badavo più a nient’altro; le montagne che vedevo dalla finestra non erano mai state così statiche.
Mi alzavo, infilavo gli scarponi e andavo a trovare la mamma sull’alpeggio fiorito che sta alla base di un campanile di roccia. Passavano le giornate ed io ero immobile come le montagne del mio altopiano. Continuavo a rivedere le stesse cose e mi stavo scordando che ero vivo. Io ero vuoto e come me il tempo.
Quelle montagne ti dico, mi hanno anche tenuto in trappola.
Una mattina ho seguito il volo di un’aquila oltre l’alpeggio, ho percorso un sentiero esposto e sconnesso fino ad una valle di erba smeraldina punteggiata di non ti scordar di me.
Tua madre mi aveva fatto promettere che mi sarei impegnato ad essere felice e io non lo stavo facendo, mi stavo solo nascondendo.
Quelle montagne offrono sia la prigione che le chiavi per aprire le sbarre, sono un farmaco miracoloso o un veleno devastante. Bisogna affrontarle con coscienza».
«Abbiamo sofferto tutti per la mamma, io a differenza di te ho deciso di non lasciare che la mente indugiasse sul dolore e ho accelerato, il più lontano possibile da lei».
«Arriverà un giorno che quella montagna che hai rinunciato a frequentare ti servirà, ti succederà di non trovare le ragioni e di annaspare per delle risposte e dovrai essere pronto. Alcuni nodi si nascondono nei ricordi che abbiamo deciso di non frequentare, altri si nascondono in quelli che decidiamo di frequentare troppo.
Chissà, magari la mamma è proprio quella cattedrale che vedi là dove il sole si specchia al tramonto.
Lascia che ti dia dei consigli per quando comincerai a camminare.
Ricorda che è impossibile frequentare le montagne di ricordi se prima non accetti con serenità che incontrerai anche il dolore e la fatica.
Non fare mai l’errore di credere che la felicità sia intrappolata su quelle montagne.
Non temere i crolli e non rattristarti per le vette che vedi scomparire, anzi, rallegrati ed esaltati per i mutamenti.
Ricordati che qualsiasi cosa accada, se cerchi bene tra quelle pendenze, sarai sempre capace di sapere chi sei o di capire chi vorrai essere.
Sono sicuro che, come me, trascorrerai giornate memorabili».
“La memoria è determinante. È determinante perché io sono ricco di memorie e l’uomo che non ha memoria è un pover’uomo, perché essa dovrebbe arricchire la vita, dar diritto, far fare dei confronti, dar la possibilità di pensare ad errori o cose giuste fatte. Non si tratta di un esame di coscienza, ma di qualche cosa che va al di là, perché con la memoria si possono fare dei bilanci, delle considerazioni, delle scelte, perché credo che uno scrittore, un poeta, uno scienziato, un lettore, un agricoltore, un uomo, uno che non ha memoria è un pover’uomo. Non si tratta di ricordare la scadenza di una data, ma qualche cosa di più, che dà molto valore alla vita.”
(Mario Rigoni Stern)