Mattia ritorna al bordo del camino da dove riusciamo ad individuare i chiodi, artigianali ed ad anelli, della variante Mandelli che risale verticale fino ad un grosso sasso aggettante. La nostra sola via d’uscita è un 6c su roccia fradicia. Mattia dà il meglio di sé, integra con qualche chiodo nelle posizioni più scomode ed agguanta un vecchio canapo, abbandonato sotto il sasso chissà da quando. Il passaggio è assurdo ed esposto come niente fino a quel punto. Mattia è costretto a fidarsi del canapo per girarsi, uscire dall’opposizione sul viscido e rimontare il masso aggettante.
Superato il masso piazza un chiodo a sinistra di un “chiodone” già presente, aggiunge un friend e crea una solida sosta a tre punti. Le corde non scorrono e così, ancora una volta, raggiungo la verticale con metà delle corde nello zaino. Mattia si sporge oltre il sasso e mi urla: «Fai quello che vuoi ma fallo in fretta!». Le alte temperature di questi giorni stanno per giocarci un altro brutto, brutto scherzo: sopra il lago si sono addensati grandi nuvoloni neri ed un temporale di calore avanza minaccioso all’orizzonte. Mi infilo in quella melma viscida mentre l’eco dei tuoni si fa sempre più vicino.
Tra i vecchi chiodi ad anello abbiamo piazzato un paio di chiodi nuovi. Vorrei schiodare facendo attenzione a non rovinare la roccia ma la situazione si fa pressante, li lascio lì e sbuffando passo oltre. Supero il masso e stravolto, in qualche modo, arrivo in sosta. Il nero si è infilato nella valle e punta dritto verso di noi.
A sinistra del camino c’è un chiodo che punta verso una sosta di quella che dovrebbe essere la variante Balatti o Prigionieri dei Sogni. La faccenda si sta facendo pressante. Lasciamo il chiodo ad U nella sosta ed iniziamo il primo dei due traversi che dovrebbero portarci verso la cresta. Mattia attacca il secondo tiro e a metà mi urla inquieto: «Arriva! Piazzo quante più protezioni posso! Arriva!». Il rumore della pioggia sugli alberi, un migliaio di metri più sotto, avanza inquietante accompagnato dal rumore dei tuoni e dal bagliori dei lampi.
Quando Mattia chiama la sosta siamo ormai investiti dalla pioggia. Davanti a me ho un tiro di trenta metri, tutto in orizzontale, tutto su placca ormai fradicia. In inverno ci siamo allenati spesso ad arrampicare sul bagnato, ma quello che ho davanti è qualcosa per cui non esiste allenamento. «Peccato, mancava così poco…». Un attimo di profonda tristezza mi assale, non so come andrà a finire. Forse un rimorso o qualche rimpianto. Poi spingo i motori a tutta forza.
Parto, supero un chiodo e proseguo. Mattia ha fatto un gran lavoro sfruttando clessidre e piazzando i friend. Avanzo appoggiando con attenzione i piedi sul bagnato. Avanzo, avanzo… Poi stacco le corde da un rinvio su un nat. Questione di un istante: volo, vado giù. Precipito, precipito sull’Eghen.
Tutta la mia realtà si condensa in un urlo: Mattia! Pendolo cinque metri sotto una clessidra, la corda si blocca, sbatto, d’istinto afferro una presa, piazzo un piede in appoggio attendendo che la clessidra esploda e mi frani addosso prima che la corda torni lasca, prima di cadere di nuovo. Ma la clessidra tiene: sono appeso su un vuoto infinito sotto la cima del Pizzo d’Eghen, su una placca bagnata mentre i fulmini del temporale ci sono addosso. La vita è strana alle volte…
Non posso esitare. «Riparto. Davide, tutto bene?». «Blocca la gialla! Recupera la blue!».
Non posso esitare, non posso pensare, devo reagire. Inizio a ringhiare come un animale nella pioggia. Risalgo, chiudo il traverso e rimonto le rocce rotte fino alla sosta sui mughi dove mi aspetta Mattia.