Racconto

#29 • Sopravvissuto

testo di Valeria Galbiati

Plastic-mushroom: VERIFICATO
26/12/2019
4,50 min
informazioni
Anche quel giorno Zyrkminzy si alzò di buon mattino, fece una frugale colazione con i suoi edibleplastic-biscuits preferiti e uscì dallo chalet a passo spedito.

Il suo capo gli aveva assegnato la sezione G del territorio, tra le più ampie della zona, che doveva ispezionare in soli dieci giorni. Un’impresa difficile ma non impossibile, per lui che da quasi 17 anni svolgeva il mestiere di “verificatore”. Per chi non lo sapesse, il verificatore è una figura fondamentale nei luoghi montani dove sono solite recarsi le persone facoltose che, spendendo montagne (appunto) di soldi per la loro vacanza, pretendono che l’ambiente naturale sia perfetto. Il verificatore ha dunque il compito di controllare che i plastic-pines siano in ottimo stato, con gli aghi di un bel verde acceso e il tronco privo di scrostature e, naturalmente, che profumino con la stessa intensità di quando sono stati collocati nel plastic-humus. Anche l’erba dev’essere sempre come nuova e lo stesso vale per i cespugli, i fiori, i funghi… persino per i sentieri.

Una volta un verificatore della sezione L, un certo WWXXolosky, non si avvide di un accrocchio di plastic-mushrooms con la cappella un po’sbiadita; se ne accorse invece una turista americana molto influente e capricciosa la quale si lagnò con il responsabile. Morale della favola: a WWXXolosky fu ridotto lo stipendio del 15%. Il compito di maggiore responsabilità però è quello dell’ingegnere che progetta i modelli di plastic-nature e soprattutto di plastic-animals, questi ultimi ovviamente più complessi e dunque più difficili da realizzare. Prima di passare alla fase progettuale, l’ingegnere deve infatti compiere studi lunghi e accuratissimi dei soggetti originari, scomparsi dalla faccia della terra all’incirca 7000 anni fa ma di cui restano copiose testimonianze negli archivi digitali: basta anche solo un piccolo errore, un orecchio di daino riprodotto in modo differente, una foglia con un eccesso di venature, un fiore dallo stelo più sottile, per decretare il declassamento dell’ingegnere all’umile ruolo di verificatore.

Zyrkminzy cominciò dunque l’ispezione avviandosi su per un sentiero agevole. In quel tratto la montagna era decisamente brulla e dunque non c’era granché da controllare: il terriccio, naturalmente, che non doveva essersi né sciolto né ridotto a palline gommose (per risparmiare, il capo di Zyrkminzy utilizzava terriccio prodotto con una plastica liquida di qualità non eccellente); i cespugli, che di solito erano i modelli più robusti e dunque, ad un occhio esperto come quello di Zyrkminzy, non richiedevano un esame minuzioso; qualche fiorellino o fungo qua e là. Nient’altro. L’uomo proseguì baldanzoso per circa un’ora e mezza, fischiettando di soddisfazione per quella mattinata inaspettatamente rilassante. Ecco però che, con l’inizio del bosco, arrivò la salita vera e propria. Nonostante i suoi 187 anni, Zyrminzy era ancora in forma e il suo fisico possente, forgiato da anni di verifiche lungo irti sentieri montani, era in grado di sopportare sforzi sostenuti. Avanzò dunque senza troppa fatica per diverse ore, fermandosi di continuo per osservare con scrupolo ogni modello vegetale in cui s’imbatteva.

Zyrkminzy il Verificatore

Finalmente giunse in cima al monte, che terminava con una distesa erbosa su cui si stagliavano degli immensi abeti. Sfregandosi le mani per la soddisfazione di essere prossimo alla fine del lavoro della giornata, stava per cominciare la ricognizione quando fu colpito dalla vista di un abete più imponente degli altri e collocato in un punto isolato. «Che strano», pensò, «Perché quell’albero è stato piantato là, lontano da tutti gli altri? Così rompe l’armonia dell’insieme, è una nota stonata in questo ambiente perfetto!» Carico di rabbia si diresse verso l’abete “sbagliato” ma, quando giunse vicino al tronco snello, avvertì una sensazione strana che placò la sua ira. Era come se il suo umore fosse stato accarezzato dai rami dell’arbusto, verso il quale provò repentinamente uno slancio di affetto e tenerezza. Senza pensarci su due volte abbracciò il tronco e, appoggiando la guancia sopra la corteccia, udì qualcosa di cadenzato simile al battito di un cuore. Rimase ad ascoltare, immobile e assorto, lasciandosi sedurre sempre più dalla musica senza suono che, scorrendo dentro il legno, arrivava diretta alla sua anima e le parlava.

Non comprendeva il linguaggio dell’abete, però sapeva che l’arbusto gli portava un messaggio di pace, benevolo e rassicurante e ricco di promesse. Come i morbidi muschi su cui poggiava l’orecchio, restò dunque tenacemente attaccato al tronco per una buona mezz’ora, tenendo gli occhi chiusi e inspirando a pieni polmoni l’odore della pianta che sapeva di rugiada, corteccia, pioggia e humus: un aroma ben diverso da quello artificiale a cui era abituato, più simile al profumo… al profumo della vita! Non appena ebbe questa intuizione, Zyrkminzy ritornò in sé, bruscamente si staccò dal legno e fece qualche passo indietro, osservando l’albero nella sua totalità. Non sentiva più nessuna comunione con esso il quale, da creatura benigna, amico, fratello, ai suoi occhi era tornato ad essere una “cosa” alla stregua di tutti gli altri plastic-trees da cui era circondato. Solo che molto, molto più remunerativa.

Chiamò a raccolta quattro boscaioli e diede loro l’ordine di tagliare l’arbusto; nel frattempo contattò Burlownky, il direttore del Museo Nazionale di Reperti Storici e Naturalistici più importante della nazione e che Zyrkminzy aveva la fortuna di avere come amico intimo, il quale accolse la notizia del ritrovamento con un entusiasmo che sfiorò il parossismo. L’albero fu esposto dentro a un vaso, sopra un piedistallo in una sala apposita del museo, e il clamore che fecero i mass-media richiamò centinaia di visitatori. Zyrkminzy ebbe la sua buona fetta di notorietà e, come aveva previsto, la scoperta gli fruttò una cospicua somma di denaro che gli permise di ritirarsi a vita privata. La sua esistenza, finalmente, scorreva lieta. Solo ogni tanto, quando la sera andava a letto, udiva un suono ritmato, martellante, come il battito di un cuore. E allora non riusciva più a prendere sonno.

“Era un rumore sordo, soffocato, frequente, assai simile a quello
che farebbe
un orologio involto nel cotone.”
Edgar Allan Poe, “Il cuore rivelatore”

_____
Ph. Giovanni Crestani, TeeFarm, Jaesung An / pixabay.com

Abete non conforme

Questa storia partecipa al Blogger Contest 2019. Fai sapere all’autore cosa pensi della sua storia, scrivi qui sotto il tuo commento.

Valeria Galbiati

Mi chiamo Valeria e mi piacciono tante cose, spesso in contrasto fra loro. Sono copywriter, amo la scrittura e la parola ma anche il silenzio, non posso fare a meno degli amici ma ho bisogno di solitudine, adoro la città ma mi rigenero nella natura. Camminare è la mia passione.


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