Non sono solito a rispondere ai lettori, ma per lei ho ritagliato un angolo di tempo in questo afoso pomeriggio di gennaio.
Ho chiuso le tende del mio ufficio per non fare penetrare il sole inclemente, così da sentire appena le onde del mare che sciaguattano sul marciapiede. Perché indugio su dettagli così insignificanti mentre le scrivo? Mi stupisco da solo. Sono un uomo di scienza, dirigo con polso fermo una rivista seria e accurata. Le più grandi menti del globo sono passate sotto i miei occhi attenti, conosco ogni dettaglio e sfaccettatura della nostra storia, antica e moderna.
Eppure, l’ingenuità (scusi la franchezza, ma non mi sovviene altro termine) che traspare dalle sue mirabolanti teorie sul Mondo Prima del Mare ha smosso qualcosa in me, qualcosa che non riesco a decifrare. Signora… signorina… ma Lei ci crede davvero? È veramente convinta di ciò che afferma? Che domande. Certo che ci crede. Espone le sue ipotesi con una naturalezza disinvolta, a me, il direttore, pretendendo di essere ascoltata, capita, addirittura pubblicata! Devo dire che il tono da lei usato è molto educato e rispettoso. In caso contrario l’avrei cestinata senza pietà. E invece, eccomi qui.
Da principio ho molto riso, sa. È una cosa che mi capita di rado.
Vede, il mio mestiere è davvero… risucchiante. Articoli da correggere, persone da ascoltare, calcoli da fare. E questo maledetto mare che ormai lambisce le fondamenta del nostro edificio, divora la nostra amata città-isola, che ci mangia via il cemento, fa marcire le preziosissime riserve di rifiuti che teniamo nei piani più bassi. Le autorità mi mandano radiogrammi sempre più preoccupate, gli scienziati sbraitano fra loro, tutti convinti di aver trovato un nuovo metodo per salvare qualcosa che, detto brutalmente, non so se abbia davvero voglia di essere salvato. Ecco, signorina (signora?), questo è il punto. Tutti chiedono o vogliono qualcosa. Ma lei… lei no. Lei sogna, gentile lettrice.
Blatera (con gentilezza e fascino, lo ammetto, ma sempre blaterare è) di una terra esistita centinaia e centinaia di anni fa, fatta di accumuli di rocce enormi, coperte da neve e ghiaccio. Ghiaccio! Stiamo parlando dello stesso elemento che mi rinfresca piacevolmente il drink di metà pomeriggio? Sicuramente ha il dono dell’ironia, lei. E della fantasia.
Parla di neve diversa da quella che conosciamo noi, così perfetta ed eterna perché ricavata dalla plastica tritata. Mi racconta di una poltiglia leggera, gelida, che scendeva dal cielo in fiocchi dondolanti, trasformandosi e trasformando il tempo e le stagioni. Bianca, azzurra, crostosa, soffice, fradicia, scintillante. Perdoni il mio scetticismo, ma davvero mi pare improbabile.
Nomina animali privi di squame (con… pelo? Quale curiosa caratteristica!) che si muovevano intrepidi su ripide superfici, circondati da una vegetazione spontanea (sic! che ossimoro) in grado di sopravvivere in un clima aspro e selvaggio. Narra di acqua che sgorgava furiosa da tagli profondi nella roccia, miracolosamente dolce senza essere filtrata da alcun tipo di dissalatore. Magia? Suvvia, rimaniamo seri.