Non si può vivere al sicuro in montagna. Questo l’ho capito.
Non valgono le stesse regole della città, nemmeno quando sei in valle e le montagne, le guardi solo da lontano.
Perché il silenzio ha un sapore diverso, antico, è quello dei contadini che da millenni lavorano in mezzo ai campi e hanno capito che sì, non bastano le parole per addomesticare i pendii.
Neppure quelli morbidi, che salgono al cielo con la dolcezza delle colline.
Effettivamente è tutto qui: i rumori e i discorsi, vengono sapientemente filtrati da quell’accumulo di roccia, che ti vuole centrato sul tuo mondo fatto di caos.
La vera lotta contro l’entropia è un colosso che muta, frana, slavina, ma stando immobile.
Vengo qui per capire cosa togliere, quando la città mi vende troppe cose inutili, che mi convince di aver bisogno.
No, non si può vivere al sicuro nel tiepido calore della montagna, nemmeno quando sei in valle.
E non ringrazio mai abbastanza il mio personale Dio volubile, per questo.
Ci vuole coraggio, ovvio.
Per assaporare con questa sincerità.
Per morire qui, con questa brutalità.
Ma più ancora ne è necessario per decidere che quella montagna che ti guarda, tanto quanto la stai guardando, altro non vuole che i tuoi passi.
Penso si nutra dei nostri demoni, per puntare alle nuvole e farti trovare, in cima, solo pace.
Oggi scelgo di provarci.
Non mi aspetto nulla, non ho neanche paura.
Quello che devo trovare per stare in equilibrio, lo troverò sbilanciando l’anima su un sentiero.
Ho dato tanti esami nell’ultimo anno, mi sono imbottita la testa di nozioni scientifiche, imparate a regola d’arte, per cancellare la sensazione di bambina, quando credevo che i giganti esistessero e abitassero proprio lì, sopra i nostri occhi.
Quando ancora credevo che un desiderio avesse il potere di una formula magica.
Ma cosa vuoi, crescere è una fregatura. Se non si osserva con gli occhi da bambino.
Così oggi me ne torno alla mia scuola d’infanzia.
Ai miei sentieri, amati e odiati come l’insegnante che ti sprona a dare di più.
La salita al monte parte piano piano, mi lascia il tempo di abituare il passo, di sentire per la prima volta dopo tempo il respiro agitarsi, infiammarsi… e inopinatamente tornare regolare.
Anzi, coordinato con quello della terra.
La fatica mi pesa, ma proprio dietro un cespuglio ritrovo un mostricciattolo di sei anni, vestito di tutti i colori possibili, che decide di essere un cervo.
E corre, annusando l’aria e scovando strade nascoste, che i grandi non possono vedere.
Rido piano. Penso forte.
I passi si sommano come le lame di una preghiera, ed effettivamente tagliano dighe, che mi ci sono voluti decenni a costruire.
Acqua arginata per sembrare così come la vorrei: pacifica, domabile, calma.
Crolla tutto e nel crollare, emozioni nascoste chissà dove e chissà da quanto, mi sfuggono di mano, cadendo come lacrime sulla nuda terra.
Anche lei richiede acqua indomabile, come prezzo.
Un piccolo scotto da pagare per sentirsi vivi.
Tutto sommato, equo.