Giorno 5 (#shittysurvivalskiing #lamorte e altro torpiloquio a piacere)
La mattina dell’ultimo giorno non parte bene per me. Ho la nausea e sono stanca, credo di non aver digerito la cena. Probabilmente sarebbe stato meglio se mi fossi fermata un giorno in più al rifugio, anche perché il tempo è pessimo. Alla fine decidiamo comunque di partire, sperando in un miglioramento che troveremo in realtà solo molto più in basso.
C’è quella luce orribile, che appiattisce ogni pendio e non permette di distinguere nulla… e infatti finisco subito a terra, più e più volte. Secondo la relazione, la giornata odierna è tutta in discesa, e questo è comunque confortante… ma non sarà così. Vuoi per le condizioni decisamente invernali, vuoi perché non conosciamo per nulla il luogo, ci ritroviamo a pellare quasi subito. Fermarsi a pellare – vorrei ricordarlo – vuol dire abbassare lo zaino, togliere gli sci, togliere i guanti, congelarsi le mani, attaccare le pelli, girare gli attacchini, litigare con gli attacchini per rimettere gli scarponi, sollevare lo zaino e ripartire. Non sarà l’unico cambio assetto, ne faremo un altro per aggirare in maniera più sicura quello che sembra un grosso crepaccio, nei pressi del mount Nile e svariati altri più in basso, in una zona di saliscendi che non è mai chiaro come sia meglio tenere gli attacchi. Intanto la neve è brutta, crostosa, la polvere dei giorni scorsi è ritornata nel mondo delle idee astratte e si fa davvero fatica a girare gli sci.
“Ma fino a qui dovevamo venire per trovare la crosta?”
Shitty survival skiing, direbbero gli americani.
Mi esibisco in una serie di spazzaneve vergognosi, cado in continuazione, sono stanca e faccio fatica sia in salita che in discesa. Peraltro il fastidio allo stomaco non passa e non riesco a mangiare nulla. A un certo punto raggiungiamo finalmente la linea degli alberi e la visibilità migliora. Vediamo addirittura dall’alto lo Sherbrooke lake, che più tardi dovremo attraversare. Il più sembra fatto, ma la giornata sarà ancora lunga. Mai pensare “il più sembra fatto”. Mai dimenticare le tre regole dell’alpinismo: “it’s always further than it looks, it’s always taller than it looks and it’s always harder than it looks”. La discesa nel bosco è relativamente breve ma assai ripida, poi un lungo tratto più o meno i piano porta finalmente il lago e attraversato velocemente il lago, c’è l’ultimo, lungo, e a questo punto per me estenuante, saliscendi nel bosco.
“Ma Bonatti non aveva mai momenti di sconforto?” dice Silvia che pure è molto meno a pezzi di me. E su questo interrogativo, dal bosco, a un certo punto iniziamo a sentire, con sentimenti contrastanti, i primi rumori della strada. In breve usciamo dal sentiero e ci troviamo subito dietro il Great Divide Lodge, catapultati nella civiltà. Prima ancora di pensare alcunché veniamo investiti da un bel diluvio universale, che poi diventerà neve e poi ancora sole… end of the game, sono le 18,30 e siamo in giro dalle 11, l’unica cosa che riesco a pensare è “Basta, basta”. Un finale poco edificante e poco eroico, mi rendo conto.