Boschi molto verdi circondano la carrareccia che si addentra nella valle e costeggia e attraversa il torrente Zebrù.
Scorre con fragore ed ingrossa ad ogni nuovo temporale e le sue acque sono color grigio luna, dai molti, piccoli affluenti che scendono dalle vedrette disseminate nel Parco dello Stelvio. Più avanti la valle si apre. Abbiamo guadagnato quota dolcemente, raggiunto e lasciato alle nostre spalle pascoli pianeggianti, poi il percorso è cambiato, diventato morena, accumulo di detriti rocciosi e sfasciume trascinati dall’antichissimo ghiacciaio nei suoi spostamenti.
La Commissione Internazionale per lo studio dei ghiacciai nel 1899 distinse morene in movimento e morene deposte e con una cura certosina le classificò dettagliatamente in frontali, laterali, mediane, interne, di fondo, superficiali o galleggianti.
Dalla roccia su cui è abbarbicato, in lontananza, fa capolino il Quinto Alpini, col suo tetto giallo vivo che spicca e risalta nell’anfiteatro grigio del ghiaione. Elena e Michele gestiscono il rifugio da 16 anni, nel periodo estivo. A far loro da magazzino è il bivacco che si supera lungo la salita e i rifornimenti vengono fatti sempre a piedi: ora che il sentiero è sgombro facendo su e giù con una motocarriola, quando invece c’è la neve, con le gerle in spalla. Poco dopo il nostro arrivo, infatti, Michele parte nella discesa col suo mezzo, tornerà poco prima che faccia buio e la sera qui il buio è denso.
Dietro il rifugio il sentiero prosegue e in pochi minuti si arriva ad una selletta, punto estremamente panoramico: a sud si staglia il gruppo del Confinale e le cime intorno e a nord che spettacolo! La vedretta di Zebrù. Il primo ghiacciaio che vedo dal vivo e non è come me li ero sempre immaginati, tutto bianco e rilucente, la superficie è striata di grigio e sassosa; visibili nei lembi gocciolanti, nelle spaccature che si vanno sciogliendo, gli strati sottostanti sono però di un colore immacolato. Si sta riducendo in modo drammatico, ma è ancora un gigante e trasmette quel senso di potenza e timore reverenziale che gli elementi naturali fuori dalla nostra portata ci danno.