testo di Federico Rossetti / Parma
«Tutte le volte che mi perdo ho un’avventura», così ci ha accolto in un perfetto inglese Jaku “Kuba” Rybicki, un giovane rider polacco ospite all’Adventure Award Days 2018. E se il perdersi con una bicicletta sembra oggi di gran moda per vivere la propria personalissima avventura alla scoperta del mondo tra posti esotici o il profondo Nord a cavallo di una bici dalle ruote giganti, tutti alla fine fanno rotta verso casa. Perché, come ci ricorderà poi Simone Moro, l’importante non è tanto la meta ma il viaggio e il percorso che abbiamo fatto. E allo stesso modo io tento di perdermi tra le strette stradine di Arco per rincorrere quelle piccole storie di questi ragazzi piuttosto normali – I just ride a bike! ci ripeterà più volte Kuba – che hanno avuto il coraggio di valicare la porta di casa alla ricerca di qualche avventura e oggi sono qui per raccontarcele.
Non è facile però perdersi ad Arco. Le locandine dell’Adventure Awards Days 2018 tappezzano un po’ ovunque il piccolo borgo e inciampando tra un negozio di sport e l’altro si finisce sempre per tornare alla piazzetta di Palazzo Marchetti o nei piccoli stand che circondano il palco del festival.
La mia bici, il migliore passaporto per viaggiare per e attraverso il mondo
«Lavoravo in un ufficio. Hanno costruito un cimitero. Ho pensato che tra quarant’anni sarei stato lì. Sono partito e non mi sono più fermato». Questa è in breve la storia di Dino Lanzaretti che un giorno ha deciso di perdere l’equilibrio e non badare più a quello che aveva intorno e dopo aver provato in serie l’arrampicata, l’alpinismo, lo scialpinismo dove a sua detta era piuttosto “inguardabile”, salì su una bici e tutto gli venne facile. Quella bici divenne la sua compagna, il migliore passaporto per viaggiare per e attraverso il mondo.
L’ultima avventura di Dino è la traversata della Siberia, da solo a -60 gradi. Ed è un fiume in piena quando sul palco sotto un caldissimo sole inizia a raccontare del suo viaggio. «Faceva tanto freddo che giravo con la barba così congelata che non riuscivo neanche più a mangiare. Parlavo con la morte e la paura. Le notti erano solo lunghe attese del mattino». Ma oggi quell’incredibile traversata diventa solo il pretesto per raccontarci sempre con il sorriso sulle labbra un lungo viaggio, un percorso di crescita, che tra infinite pedalate ed emozioni e soprattutto incontri – «Le emozioni che restano sono gli incontri con le persone» – lo hanno portato a vivere la sua avventura intorno al mondo in sella a una bicicletta.
Dino è un bell’omone e padroneggia palco e microfono come il manubrio della sua bicicletta, sempre con molta voglia di divertirsi e far divertire. E il divertimento sembra proprio il leitmotiv delle avventure del terzo millennio. Complici gopro, cellulari e social media i protagonisti delle avventure moderne diventano sempre più spesso il modo in cui viviamo e raccontiamo il viaggio piuttosto che l’obiettivo stesso. Certo poi non si può mai prescindere dalla meta e i Cristofori Colombi del nostro tempo nascondono spesso, dietro questa divertente facciata, vere e proprie imprese.
Indeciso tra la carriera del climber e quella della rock star
Ma le Americhe sono quasi tutte state scoperte e c’è sempre più la voglia di divertirsi facendo quello che ci piace di più. É questo il caso del fortissimo scalatore belga Nicolas Favresses che indeciso tra la carriera del climber e quella della rock star ha deciso di accompagnare le sue spedizioni al ritmo della chitarra e insieme al fratello Oliver e al compagno di scorribande Sean Villanueva gira il mondo alla ricerca di Bigwall da scalare e momenti da creare e ricordare. Nicolas è un vero e proprio personaggio, prototipo perfetto dell’avventuriero moderno che concilia magicamente la ricerca del divertimento con quella della più pura avventura: l’arrampicata di altissimo livello lungo gigantesche pareti per lo più inesplorate dall’isola di Baffin alla Patagonia. E così tra qualche nota perfettamente strimpellata, parole in tutte le lingue e immagini straordinarie, Nicolas ci catapulta direttamente in quel fantastico mondo d’avventure fatto di traversate artiche, arrampicate e naturale spensieratezza.
Dov’è però il limite tra divertimento, libertà e la responsabilità del ritorno? A questa domanda cerca di rispondere a suo modo Simone Moro nella serata centrale del festival, che vedrà anche la consegna dei premi come Best Adventurer allo stesso Moro e al Best Storyteller all’americano Jeremy Collins.
Foto di classe: Simone Moro raccontato da Emilio Previtali
Non è però una serata normale, è una sorta di Moro Off, di un dietro le quinte del grande alpinista che duetta sul palco con il compagno e amico Emilio Previtali, una sorta di cabaret, una serata certamente riuscita e che diverte non solo i tanti appassionati che assiepavano il piccolo auditorium di Arco ma anche gli stessi protagonisti. Chiacchierando con Simone al termine della serata, chiedendogli da dove nasceva l’idea di raccontarsi, prescindendo quasi interamente dalle sue sfide a cavallo degli 8000 in inverno e dalle sue tantissime altre salite, lasciate però sempre come sfondo sfumato nel fluire di storie e aneddoti, mi risponde: «Abbiamo celebrato il percorso. Avremmo potuto essere ovunque. Su un palco come in un rifugio o in uno studio televisivo. L’avventura sta nel percorso e non nella destinazione».
E la storia che Simone mette in piedi parte da lontano, dalla prime gare di coraggio con il giovane amico Emilio, passando per l’ignoto e la stupidità dei vent’anni, all’importanza dei maestri, al mito di Manolo, agli anni che passano e al continuare a vivere piccole-grandi avventure. – Si vivono esperienze diverse ma non cambia il modo di viverle, ci si entusiasma per cose semplici perché chi riesce a ritagliarsi la propria oasi di libertà non sarà mai un ex.
La serata si conclude con una grande ventata di positività ma anche con qualche riflessione più profonda sul coraggio di non fare citando il grande Riccardo Cassin. “Non è difficile diventare un grande alpinista. La cosa difficile è diventare un vecchio alpinista”. Ed è questo il messaggio finale che forse ci vuole lasciare Simone Moro. Divertitevi, credeteci, prendetevi sul serio, perdete un po’ la bussola. Ma se l’andare è necessario per vivere un’avventura, quello più importante è tornare a casa per raccontare con entusiasmo il percorso compiuto, prescindendo dalla destinazione, dal successo o dal fallimento.
(*) Federico Rossetti, Alessandra Longo e Luca Castellani sono i vincitori del premio speciale Adventure Awards Days. Nella veste di “inviato speciale” Federico aveva il compito di raccontare ai lettori di altitudini l’edizione 2018 dell’AAD che si è svolta ad Arco dal 20 al 22 aprile.