Tipi tosti

SULLA CIMA DELLA MADONNA

testo di Ledo Stefanini

24/10/2021
5 min

TIPI TOSTI STORICI
Inauguriamo con questa foto storica della Cima della Madonna, una nuova rubrica dedicata ai “tipi tosti storici”. Donne e uomini che hanno lasciato un segno, per il loro carattere, per il loro essere montanari, alpinisti, esploratori, navigatori, pionieri, visionari, per tutte le cose che hanno fatto in un periodo in cui essere visibili non era facile come può esserlo ora e proprio per questo le loro gesta sono ormai leggenda. Sono persone talvolta sconosciute ai più, ma che continuano a emergere, come le cime più alte di una catena montuosa, dalla memoria delle comunità che le hanno conosciute.

Questi “tipi tosti” li ricorderemo attraverso una foto, una “istantanea”, accompagnata da un testo di un nostro autore che andrà a dilatare il significato originale dell’immagine. In una fotografia (non artistica), fatta salva l’intenzione del fotografo di fissare quel momento, l’immagine ha una ulteriore possibilità significativa. La scrittura, costruita a partire da una fotografia, può andare oltre l’enfasi dell’icona e superare la nota didascalica e raccontare una storia. Questo è quello che cercheremo di fare.

Ai nostri lettori chiediamo di aggiungere con i loro commenti, ulteriori significati che vedranno scaturire dall’immagine.

redazione altitudini.it

La fotografia fu scattata nel 1912 (e per i tempi era una cosa straordinaria) da Guido Rey sulla vetta della Cima della Madonna, nelle Pale di San Martino.

Un’immagine la cui lettura richiede una quantità di informazioni che riguardano il luogo, i personaggi, l’attrezzatura e altro.
Come dicevamo, il luogo è la vetta del Piccolo Sass Maòr (questo il nome del picco oggi noto come Cima della Madonna), salito per la prima volta da Winkler e Zott nel 1886, per il liscio camino che incide la parete nord e che oggi viene solitamente percorso in discesa. La via scelta dagli alpinisti, su suggerimento delle guide, era sulla parete opposta, aperta da Bettega nel 1897, accompagnando gli inglesi reverendi Raynor e Phillimore, che comporta un passo che ancora oggi viene accreditato di quarto superiore, superato con una sicurezza che suscita l’ammirazione dell’occidentalista Rey:

“È sorprendente la precisione geometrica con cui le guide delle Dolomiti risolvono questi ardui passi; hanno a mente ogni punto, ogni angolo, misurano le distanze esatte col compasso delle gambe, descrivono col corpo le curve precise, con tale metodo e speditezza da far sembrare facile gioco ciò che è un avventuroso problema. […] Qui è un passo solo, ma s’impiega un tempo infinito a compierlo …”

Certo erano guide di prim’ordine, Michele Bettega e Bortolo Zagonel. Undici anni erano passati da che erano stati ingaggiati dall’inglese Beatrice Tomasson e l’avevano guidata su quella che oggi è la classica alla Sud della Marmolada. Del resto, i due “viaggiatori” che da Torino si erano spinti fino alle Alpi Tirolesi, ne portavano grande stima:

“Essi sono rimasti dei montanari schietti quasi siano ignari delle loro glorie e solo consci del loro vigore; umili di quella umiltà dignitosa e cordiale che di alcuna delle grandi guide nostre fece degli amici ad alpinisti illustri di ogni paese. E a tutta prima, squadrando Bortolo Zagonel che pare tratto fuori da un macigno, tanto è saldo e massiccio e che ha un volto impastato di bontà e di astuzia, non mi trattenni dal ripensare al mio buon Castagneri; ed anche più nel vedermi davanti la figura di Michele Bettega ebbi per un momento l’illusione che quel volto riarso, dalle righe energiche, dalla grigia barba incolta, dall’occhio vago che guarda lontano, io l’avessi trovato altre volte in qualche mia avventura, non sapevo bene né quando né dove, se presso una fonte in un chiaro mattino mentre sbocconcellava il primo pane della salita, o la sera, nella scarsa luce di un rifugio, intento a fumare la pipa del riposo … Era lo spirito della montagna che ravvisavo nella vecchia guida, ardente ancora della passione di tutta la sua vita non stanca da quarant’anni di lotta, pronta ogni istante ad accorrere fin sulle vette più ardue ove essa aveva conquistato le prime glorie, a ritornare ancora una volta sul suo Cimone salito le trecento volte.”


Ugo de Amicis fra le guide Michele Bettega e Bortolo Zagonel. Foto di Guido Rey
[Da «Guido Rey: dall’alpinismo alla letteratura e ritorno», Cahier Museomontagna 46, CAI Torino, 1986]

Al tempo, Bettega aveva 59 anni, Zagonel 44 e Rey 51. Ugo De Amicis era il ragazzo della cordata, contando allora solamente 33 anni. Suo padre Edmondo, autore del famoso “Cuore” l’aveva affidato a Rey perché gli fosse mentore nella pratica dell’alpinismo, nella quale manifestò inclinazioni diverse da quelle del maestro. Infatti, mentre Guido Rey frequentò prevalentemente le pareti del Cervino, al quale dedicò un libro che è una vera e propria dichiarazione d’amore, Ugo predilesse le Dolomiti sulle quali realizzò imprese notevoli. Molto ci dice del suo carattere il fatto che pochi anni prima era stato compagno di Tita Piàz nell’impresa temeraria e dissacrante della traversata aerea dal Campanile di Misurina alla Guglia De Amicis, che tante polemiche suscitò nell’ambiente alpinistico. Di altra pasta – dicevamo – era Guido Rey, che coltivò un alpinismo intriso di ispirazioni romantiche, ultimo dei dilettanti che ebbero i rappresentanti più illustri nei ‘viaggiatori’ inglesi che, grazie a guide di grande abilità, compirono imprese di assoluto valore sulle Occidentali. Egli stesso ha chiara consapevolezza del fatto che il suo modo di rapportarsi alla montagna è ormai superato, come emerge dal passo del “Monte Cervino” in cui ricorda con commozione l’incontro con un Whymper ormai anziano che è tornato per rivedere un’ultima volta la sua Gran Becca.

L’attrezzatura risulta evidente dall’immagine: la corda, di pesante canapa, che doveva avere un modulo di elasticità (ma allora non se ne parlava) elevatissimo, veniva legata direttamente in vita, cosa che giustificava i patemi di Rey nel superamento del traverso sulla Phillimore. Ai piedi, tuttavia, i quattro portano i scarpetti cioè pedule di pezza, che andavano soggette a rapida usura. La testa era (scarsamente) riparata da un comune berretto, il che spiega perché, due giorni dopo, sulla cresta Nord del Cimon, il saggio Bettega sollecita la cordata a non farsi superare dalla cordata di un sior todesco che li tallonava.

Infine il luogo in cui è stata scattata la foto, tuttora riconoscibile sulla vetta della Madonna; ma con un particolare che il tempo ha cancellato. Si legge infatti chiaramente, sul masso su cui siede Zagonel, la scritta “Vineta Mayer”, un nome che meriterebbe di non essere cancellato come la scritta. Si tratta infatti di quella grande alpinista austriaca che fu la prima donna a scalare, con la guida Franz Wenter di Tires, il Campanil Basso di Brenta. Era l’agosto del 1903.

Ledo Stefanini

Docente di fisica all'Università di Pavia (sede di Mantova), studioso di storia dell'alpinismo.


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