Saggio

SATURAZIONE

"Credo che lo sforzo primario di Vitaliano Trevisan sia sempre stato quello di leggere questo mondo con lucidità spietata, senza falsità e moralismi, come si sta trasformando disciolto nella Rete, avendo a bussola le fatiche dell’uomo nel dare un senso, anche di giustizia, alla propria vita..."

testo di Vittorio Giacomin

05/01/2025
7 min

Un mondo meraviglioso

Vediamo solo ciò che vogliamo vedere, pensavo, la verità è questa, quello che non vogliamo vedere non lo vediamo, c’è, esiste, ma non lo vediamo perché vederlo ci mette in pericolo… un pericolo mortale per il nostro equilibrio, dunque ci rifiutiamo di vederlo.
(Vitaliano Trevisan, Un mondo meraviglioso, da La Trilogia di Thomas, Einaudi, Torino, 2024)
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Vitaliano Trevisan, scrittore, attore, drammaturgo, regista, sceneggiatore è scomparso all’età di 61 anni a Crespadoro (VI) il 7 gennaio 2022. Uno dei più grandi narratori contemporanei e del contemporaneo.
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In questi giorni ha avuto risalto la notizia del ricovero coatto in un reparto psichiatrico del noto scrittore Paolo Cognetti.

La descrizione di questa sua esperienza pubblicata dallo scrittore non poteva non portare alla memoria la minuziosa descrizione resa da Vitaliano Trevisan il 5 novembre 2021 riguardo ad una esperienza analoga da lui vissuta nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Montecchio Maggiore (VI), alla fine del 2021, qualche mese prima della sua scomparsa.
Di Trevisan, autore straordinariamente vasto, profondo, sincero, non tanto per gli innumerevoli contenuti che ha affrontato, ma per qualsiasi impossibilità di comparazione con il panorama letterario degli ultimi quaranta/cinquanta anni in Italia, è stato scritto molto anche se non abbastanza in termini di critica.
Dopo le sue dimissioni a seguito della A.S.O. (Accertamento Sanitario Obbligatorio), sentitosi di nuovo libero, riprese i contatti con gli amici e i conoscenti con una frase di Platone messa in bocca a Socrate: «E noi secondo verità forse siamo morti: per parte mia difatti già ho sentito dire da uno dei sapienti che nel presente noi siamo morti e il corpo per noi è una tomba»(1).

Potremo aggiungere, sempre con le parole di Platone: «… e che questa parte dell’anima in cui si trovano le passioni è tale da cedere alle seduzioni, e da mutare facilmente direzione in su e giù».
Dopo la tremenda esperienza vissuta, Trevisan trova nelle parole di Platone l’energia necessaria per riassaporare la libertà e tornare a vivere, resistere, combattere. Non mi è stato possibile parlarne con lui dopo quell’evento, se non con qualche scambio di mail dalle quali si percepiva comunque un malessere, ma credo che queste parole di Platone non siano state scelte a caso da Trevisan e trovo possano offrire letture diverse.

Sappiamo, il rapporto di Trevisan con la morte è sempre stato una battaglia senza esclusione di colpi. La morte è una presenza costante nei suoi testi, che fanno pensare ad una foto in bianco e nero, indipendentemente dalla sua scelta ultima. Noi siamo morti e il corpo, la nostra tomba, esprime con lucidità la consapevolezza del Trevisan riguardo al vivere, alle difficoltà che il vivere ci chiede, essendo in Platone il corpo carcere dell’anima.

(*) da Abbandono.  Una proposta politica (pubblicato in 36010 n. 3_luglio 2012). Sul muro di cinta della fabbrica abbandonata, spray bianco su fondo grigio, due scritte: 6 STUPENDA T. AMO – 6 UN TESORO T. VOGLIO. Dunque, mi dico, c’è ancora qualcuno che si aggira furtivo nella notte! Certo, non sono più le scritte di una volta, ma il caso, a volte, lavora benissimo.

Consapevole della crisi della narrazione in atto, consapevole che una comunità narrativa deve restare in ascolto, ancora una volta offre uno spunto, traccia una strada, e lo fa nel momento di maggiore dolore. 

Riprendendolo, una “avvertenza”.
Ho letto di recente un testo (La pietra della follia di Benjamìn Labatut) che mi sarebbe piaciuto commentare con lui, come abbiamo fatto su altri temi, in progress, prima della luce delle stampe, in particolare, la periferia, la nostra periferia, Cavazzale, con la fine della Città Sociale dei Roi magistralmente descritta in Works, ma anche in Black Tulips dove troviamo scritto: «E a proposito di dormitori, notiamo, di sfuggita, come, nello stesso periodo, i paesi del cosiddetto hinterland, come ad esempio il mio (Cavazzale), tendano sempre più a perdere il loro carattere appunto di paese, e, grazie a una mirata politica di speculazione edilizia (purtroppo non ancora invertita pur nelle possibilità, forse per scarso coraggio; nda) che accompagna una de-industrializzazione da tempo in atto, si trasformano appunto in dormitori, cioè periferia»(2).

Il testo di Benjamìn Labatut(3) affronta argomenti straordinariamente pertinenti alla ricerca di Trevisan: il rischio di oltrepassare il limite, l’incapacità della mente umana di mettere in relazione tutto ciò che contiene (taccuino o non taccuino, che non si sa mai), l’esigenza di conoscenza, comunque, la non concretezza del mondo nel quale viviamo, l’indecifrabilità del mondo perché posseduto dal caos, l’insicurezza paranoica, la paura del cambiamento, la scomparsa delle storie antiche che coglievano il senso del mondo, l’incapacità di raccontare, il dominio della velocità che ci illude di essere liberi da ogni vincolo, il fallimento della nostra capacità di comprensione, la consapevolezza che il mondo è incomprensibile perché dominato dal caos, la necessità di un nuovo modo di pensare, elemento questo necessario e non ultimo in ordine di importanza come ben saprà dimostrare Trevisan nell’ultima sua opera postuma.

La sua figura spigolosa e “cupa”, che sempre si poneva sulla difensiva impedendo, apparentemente, il confronto, che parlava per monosillabi, che difficilmente regalava un momento di distensione al dialogo, o un sorriso, l’ho sempre considerata una maschera che lui indossava per difendersi. Nei rari momenti nei quali si rilassava emergeva un Vitaliano diverso, una persona che avrebbe potuto leggere quel testo di Platone, viatico della sua rinascita, o resistenza, dopo il ricovero coatto, anche come una critica, l’ennesima nel suo caso, ad una società dissoluta o disciolta nel “tutto e subito”, continuamente tesa all’effimero, luogo crudele dove l’anima è ancora una volta incatenata.
Consapevole della crisi della narrazione in atto, consapevole che una comunità narrativa deve restare in ascolto, ancora una volta offre uno spunto, traccia una strada, e lo fa nel momento di maggiore dolore. Quel post diventa un alert per tutti noi, regalatoci per provare ad arginare il “profondo disorientamento del vivente”(4).

Se volessimo fare un parallelismo, non un paragone, ovvero un pensiero che mira giusto a capire il modo di pensare di un autore, ho sempre trovato stimolante la lettura offerta da Giuseppe Barbieri riguardo al Palladio(5), nella parte in cui descrive l’impegno di Palladio, durato per tutta la sua vita e perseguito con tutte le sue opere, consapevole che il suo mondo stava finendo, a far sì che quel suo mondo potesse continuare a vivere, ma che soprattutto al centro del suo racconto vi fosse l’uomo, sempre.
Anche questo sarebbe un altro bel tema di confronto con Vitaliano perché, io credo, il suo sforzo primario sia sempre stato appunto quello di leggere questo mondo con lucidità spietata, senza falsità e moralismi, come si sta trasformando disciolto nella Rete, avendo a bussola le fatiche dell’uomo nel dare un senso, anche di giustizia, alla propria vita, e inoltre di fornire a tutti noi strumenti di lettura adeguati per capire questo mondo che sembra reale, ma che forse non lo è.

Teatro Olimpico di Vicenza (1580-85), ultima opera di Andrea Palladio. Scene di Vincenzo Scamozzi, "il soccombente".

Consapevole della fine di questo mondo osservava anche il minimo dettaglio essendo però in gran parte proiettato già oltre.

Ad un certo punto però Trevisan si sente saturo, quel palcoscenico che si era costruito nelle prime opere – e anche qui il parallelismo con Palladio può apparire adeguato se pensiamo ad almeno due opere quali il teatro Olimpico e la Rotonda, veri palcoscenici – attraverso la maschera dei suoi personaggi, come ha ben descritto Emanuele Trevi(6), questa viene gettata.
Ora è l’uomo Vitaliano in prima persona a mettersi in gioco e quando ormai, credo profondamente deluso da questo mondo, decide che altri mondi sono da esplorare, perché molto più ricchi di contaminazioni; per inciso, quelle stesse contaminazioni le aveva sempre cercate anche come musicista.

In Black Tulips cambia tutto, e con la forza di un reporter d’eccezione cambia la sintassi e ricerca una nuova relazione tra il frammento e la continuità del testo pur nella contingenza di narrare storie vere: il movimento dei popoli prima di tutto, un senso di “compassione” verso gli ultimi – si cfr. la storia di Hellen in Black Tulips – la costrizione e la sopraffazione di interi popoli, la tratta dei neri, la prostituzione, la nostra storia occidentale che va in frantumi, la ricerca ossessiva di questa contemporaneità che mira al successo, i soldi, l’apparire fine a stesso senza contenuti da offrire.

Ho già avuto modo di affermare un fatto noto, e pertanto privo di originalità, ma Trevisan è forse l’unico scrittore italiano dell’ultimo mezzo secolo trascorso, insieme a Pasolini, che non fa il melenso, che non brandisce l’accoglienza come un senso di alta civiltà, che parla dal suo divano.
Lui migra, va a vedere, butta il suo corpo nella mischia. Lascia questo mondo pieno di ipocrisia e va, in piena solitudine, senza codazzi di telecamere o testate giornalistiche di supporto. Del resto il suo amato nord-est non l’ha mai amato, ma lui non ricerca consenso, gli è indifferente, gli basta vedere, osservare e scrivere perché la scrittura come dice Thomas in Un mondo meraviglioso, è come l’aria.
Senza di essa non puoi vivere.

In questa idea di movimento ho trovato una bella affinità con una recente dichiarazione Koyo Kouoh, prima curatrice africana della Biennale Arte di Venezia. Mi sono chiesto cosa avrebbe pensato Vitaliano di queste sue parole, peraltro subito commentate in maniera malevola da una certa cultura che fatica ad accettare i cambiamenti e le contaminazioni: «l’arte è movimento, vivere è migrare».
Mi pare questo un buon manifesto per progettare il futuro al quale Vitaliano, credo, avrebbe aderito.

Mi torna alla mente una sua mail, a seguito di un incontro fortuito nel quale ci soffermammo a lungo a parlare del nostro paese, nella quale si dichiarava diversamente impegnato politicamente, rimarcando che le sue scelte erano una decisa scelta politica, ciò a significare che la sua apparente indifferenza sui fatti di tutti i giorni non lo era affatto, vero il contrario. Consapevole della fine di questo mondo osservava anche il minimo dettaglio essendo però in gran parte proiettato già oltre.

Io credo sarebbe dovere nostro, intendo non come “società civile” (cfr. Black Tulips) ma come società che vuole conoscere e interrogarsi, fare in modo di dare significato e continuità attraverso le espressioni artistiche più appropriate ai molteplici temi che lui ha indagato – il problema della lingua e del linguaggio, la periferia diffusa, l’integrazione dei popoli, la mutazione antropologica, la solitudine, l’alienazione, l’arte, lo sfruttamento delle persone, la prostituzione … – e che sono soprattutto di vitale importanza dal punto di vista della trasformazione sociale e antropologica che stiamo vivendo.
Ma forse, vista la ricchezza e la complessità, meglio non correre questo azzardo, ci si potrebbe trovare di fronte ad iniziative superficiali tese alla sola ricerca del consenso effimero.
E quasi certamente, Vitaliano non gradirebbe.
_____
1) Vitaliano Trevisan, Intervista di Francesca Visentin pubblicata sul Corriere del Veneto il 16 ottobre 2021
2) Vitaliano Trevisan, Black Tulips, Einaudi, Torino, 2022
3) Benjamìn Labatut, La pietra della follia, Adelphi, Milano, 2024
4) Walter Benjamin, Il narratore, Einaudi, Torino, 2004
5) Giuseppe Barbieri, in arte Palladio, Terra Ferma, Vicenza, 2008
6) Emanuele Trevi, Postfazione, da La Trilogia di Thomas, Einaudi, Torino, 2024

Vittorio Giacomin

Vittorio Giacomin

Scrivo, qualche volta; cammino, quando posso; immagino, sempre.


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6 commenti:

  1. vanna ha detto:

    grazie per questo ricordo a Trevisan, scrittore “scomodo” anche ai benpensanti proprio per la sua schiettezza, la sua onesta scrittura, la sua lungimiranza

    1. Vittorio Vittorio ha detto:

      Già Vanna. Uno scrittore unico. Grazie.
      V

  2. Rita ha detto:

    Non conosco Trevisan. E’ un opportunità che mi è stata offerta, grazie.

  3. Vittorio Vittorio ha detto:

    Se lo legga fino in fondo Rita, non rimarrà delusa.
    E’ come andare in montagna. Dipende cosa vuoi vedere, ma se cerchi l’essenza in Trevisan la trovi, e ti potrebbe spaventare, perché la sua lettura è crudele, non lascia spazio, è in bianco e nero, ma non perchè si sia fronte a un manicheo, ma perchè tra il bianco e il nero c’è una infinita sfumatura di grigi e Vitaliano dava voce a tutti.
    Come i fiori in montagna, se non li osservi, ti sfuggono.
    Grazie a lei.
    V.

  4. Alberto Alberto ha detto:

    Apprezzo questo allargamento di Altitudini a grandi scrittori che non scrivono di montagna o alpinismo. Grazie per il pezzo su Trevisan, scrittore onesto e sincero sulla fatica, e per alcuni la tragedia, di vivere in una società come la nostra.

    1. vittorio giacomin vittorio giacomin ha detto:

      Grazie Alberto. Serve ringraziare la redazione che apre anche ad altri mondi. E’ interessante il Suo passaggio sulla fatica perchè individua esattamente il percorso. Vitaliano ha faticato tantissimo senza risparmiarsi mai, ma del resto la fatica accumuna qualsiasi sfida, dallo scrivere, all’alpinismo. Sarebbe bello dare voce a tutte le fatiche del mondo, e Vitaliano ci ha provato. Poi sul vivere in una società come la nostra, sappiamo la fatica che serve.
      V.

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