Ci sono luoghi che ispirano una storia, ce ne sono altri che la storia la raccontano.
Ci sono luoghi che vorremmo facessero da sfondo alle nostre narrazioni, ce ne sono altri che ne diventano straordinariamente i protagonisti. La pista da bob di Sarajevo è uno di quei posti capaci di suggerire una storia, ma su cui è inutile costruire qualsiasi tipo di trama perché la realtà è più forte di qualsiasi altro racconto.
1984. Sentieri ghiacciati: le olimpiadi di Sarajevo
Hoppe, Wetzig, Schauerhammer e Kirchner sfrecciano sulla pista da bob di Sarajevo facendo guadagnare alla Germania dell’Est l’oro olimpico.
Il freddo, la neve e la nebbia avvolgono finalmente la città bosniaca. Le preghiere dei cittadini sono servite: il sole è scomparso e ha lasciato il posto all’inverno che porterà, incredibilmente, uno dei Paesi della Jugoslavia davanti agli occhi di tutto il mondo.
Sarajevo è in festa e si gode i candidi fiocchi che cadono dal cielo imbiancando tutto, dalla Baščaršija rimessa a nuovo per l’occasione, al Monte Trebević, il giardino cittadino a quota 2000 metri.
La funivia fa avanti e indietro per portare giornalisti, professionisti e curiosi fino alla pista da bob che corre tra i boschi amati dai cittadini per le passeggiate domenicali. Ora sono tutti lì, quasi 30.000 persone, a fare il tifo per gli atleti, per la Bosnia e per la libertà.
1992. Sentieri minati: l’assedio di Sarajevo
Ramo Biber corre, cerca di scappare, ma è già ferito e inciampa. Uno sparo, poi il nulla. Il custode dell’impianto della funivia che porta al Monte Trebević è morto. Lo hanno ucciso dei serbi. Quelli stessi che a colpi di mortaio distruggeranno di lì a poco la žicara (la funivia) che accompagnava da sempre gli abitanti di Sarajevo al ristorante Vidikovac, uno dei migliori di tutta la città, quello delle grandi occasioni.
Niente più passeggiate domenicali nei boschi: ora sono solo un enorme campo minato. Niente più sogni di abbracci rubati nelle cabine della funivia: ora giacciono in frantumi sotto i piloni semi distrutti dell’impianto. Niente più slittino: ora la pista da bob di Sarajevo è la postazione dei cecchini.
Il Monte Trebević sovrasta la città, ma a Sarajevo nessuno lo guarda più. La morte ne ha fatto la sua dimora preferita e mentre i serbi, nascosti tra i boschi, giocano al tiro a segno, i bosniaci seppelliscono corpi nella fossa di Kazanj.
Tra i boschi, ormai, passeggia solo il dolore.
2018. Sentieri tra i boschi: passeggiata sulla pista da bob di Sarajevo
Sulla strada per la sarajevska pivara il sole inizia a scomparire, il vento si alza e le nuvole fanno capolino. Abbiamo forse scelto la giornata sbagliata per salire sul Monte Trebević? Ormai siamo qui e non ci facciamo scoraggiare: paghiamo il biglietto e saliamo sulla nuova žicara, inaugurata solo pochissimi mesi prima. Insieme a noi, nella stessa cabina, ci sono due signori anziani: chissà se è la prima volta dopo 26 anni che salgono di nuovo a quota 1627 metri!
Sarajevo si allontana e la Baščaršija sembra minuscola. La Vijećnica (la biblioteca) è l’unico edificio che si riconosce perfettamente in mezzo ai tetti rossi della città mentre il fumo si alza dai comignoli dei forni: si riesce quasi a sentire il profumo del burek.
Arriviamo in cima e iniziamo a camminare mentre la pioggia comincia a cadere copiosa. Per fortuna dura poco. Sarajevo da qui si mostra in tutta la sua fragilità: indifesa mostra la sua bellezza. Per i cecchini doveva essere un gioco da ragazzi.
Proseguiamo e finalmente eccola: la pista da bob di Sarajevo.
Nascosto tra la vegetazione che si è ripresa i suoi spazi qualche ragazzo fuma ascoltando un ritmo di bassi che ricordano il battito del cuore. Il cemento della struttura scompare nella boscaglia. Una pista da bob, l’appostamento dei cecchini e ora un sentiero tra i boschi. Fino a qualche tempo fa era l’unica strada sicura per una passeggiata: tra gli alberi c’erano ancora le mine.
I writers continuano a venire qui per rendere meno cupo questo luogo: i colori dei murales riescono ad allontanare il nero che questo posto sembra non volersi staccare di dosso.
Noi camminiamo, scattiamo qualche foto e poi torniamo indietro.
Parole, ci siamo detti tante parole in quell’ora di passeggiata, ma nessuna che avesse un senso.
Riprendiamo la funivia mentre i fulmini iniziano a cadere su Novi Grad Sarajevo.
Scendiamo e una vecchia cabina della funivia con i vetri rotti è lì ad aspettarci.
Sarajevo rinasce portando con sé il dolore.
Sarajevo rinasce con una passeggiata nei boschi che né uomo, né natura potranno mai nascondere davvero.