Recensione

IN MONTAGNA HO CONOSCIUTO LA PAROLA LIBERTÀ

Alpinista, fotografo, esploratore: Costantino Albani, Tino, ci ha regalato storie incredibili e una regola: “nella vita segui sempre le tue passioni”.

testo di Roberta Orsenigo

Costantino (Tino) Albani, classe 1930
09/02/2025
7 min
«Il mio sogno era quello di fare l’aviatore». Me lo confessa Tino Albani, uno dei più grandi pionieri dell'alpinismo italiano.

Classe 1930, lucido come un ragazzino, durante l’intervista non ha bisogno di essere imboccato con le mie domande. E in quasi tre ore di intervista, ho il privilegio di viaggiare con lui dalle Alpi all’America del Sud, faticando non poco per non perdermi i tanti aneddoti della sua avventurosa vita e il caleidoscopio di personaggi mitici.

Istruttore nazionale di roccia nel 1956, di ghiaccio nel 1966, accademico del CAI dal 1967, Tino è stato anche per molti anni istruttore e direttore di corsi della Scuola Nazionale di Alta Montagna Agostino Parravicini. «Volevo davvero fare l’aviatore, ma la mia famiglia non era d’accordo», mi dice. «Avevo solo la licenza media, ma una bella grafia. Così, grazie a mia mamma, sono stato assunto alla Banca Briantea di Merate, il mio paese natale, dove compilavo cambiali e attaccavo francobolli. Ho fatto carriera imparando il mestiere, fino a diventare direttore di filiale».

Si avvicina alla montagna con Luigi Magni, mentore anche di un altro grande alpinista della scuola brianzola, Romano Perego. «Ho iniziato a scalare dal 1947. Tra le prime ascensioni, ricordo il Resegone lungo la Torre Elisabetta». Quella parete con difficoltà massima IV+ anziché spaventarlo accese la sua passione per la scalata. Le montagne lecchesi come la Corna al Medale e la Grigna Meridionale (la Grignetta), pur non altissime ma tecnicamente impegnative, divennero presto il suo terreno d’allenamento.

In cordata, con lui si legarono Luigi Magni, Augusto Corti, Peppo Conti, Angelo Zoia, Romano Perego e Riccardo Cassin, solo per citare alcuni dei grandi nomi che hanno fatto la storia dell’alpinismo italiano. «Non c’erano i libri, mappe o altro. Al Pizzo Badile bevevo una lattina di birra per lasciare un punto di riferimento dell’attacco delle vie. So che non si deve fare, ma allora era così», sorride ricordando l’aneddoto.

15/05/1958 al Nibbio via S. Elia - Foto Emilio Frisia
05/09/1954 - Da sinistra: Tino Albani, Walter Bonatti, Luigi Comi. Archivio Tino Albani
Ottobre 1968 - Da sinistra: Tino Albani, Dante Spinotti, Gaston Rébuffat

Quando Bonatti morì, l’11 settembre 2011, toccò proprio a Tino rendere omaggio alla salma in rappresentanza del CAI.

Sulle pareti delle montagne di casa Tino c’è salito anche con ‘il Walter’. Walter Bonatti, naturalmente. «Eravamo affiatati. L’ho conosciuto al Medale, ero con Luigi Magni. A quei tempi faceva l’operaio alla Falk di Sesto San Giovanni e si lamentava per i turni di lavoro. Mi diceva che ero fortunato, perché lavoravo in banca e i fine settimana potevo scalare. Ricordo che una volta portò in montagna un tizio vestito con giacca e cravatta. Gli chiesi chi fosse e lui mi rispose che era il ragioniere responsabile dei turni alla Falk. Bene, da quel giorno smise di farli e cominciò la sua strada verso il professionismo».

Tino gli confessa un giorno di sentirsi inferiore per essere sempre andato da secondo sui grandi itinerari. «Walter allora mi disse che nella cordata è importante anche il secondo, perché è quello che deve dare fiducia oltre a essere bravo e svelto. Queste sue parole furono per me un incoraggiamento che mi accompagnò in tutte le imprese future».

«Si arrabbiava quando gli facevano domande sulla tragica e tormentata spedizione al K2 del 1954. A un giornalista che aveva osato chiedere aveva risposto di leggersi il suo libro, K2. La verità, storia di un caso». Quando Bonatti morì, l’11 settembre 2011, toccò proprio a Tino rendere omaggio alla salma in rappresentanza del CAI. «Mi dicono: è morto il tuo amico, quello con i capelli grigi… Fu un grande dispiacere. Al suo funerale gli attaccai il distintivo di accademico del CAAI(1)».

Tino mi racconta poi di un treno speciale, quello che diventò famoso come il treno dei desideri, una bella storia ben raccontata in questo video da Sabrina Bonaiti e Ruggero Meles. Dopo le privazioni fisiche e psicologiche della Seconda Guerra Mondiale, per molti giovani degli anni Venti e Trenta la montagna era diventata il simbolo della libertà ritrovata. «Il treno partiva ogni domenica mattina alle 5 da Milano Centrale e diretto a Lecco. Con un tram si arrivava poi a Malavedo e quindi a piedi fino ai Piani Resinelli, circondati dal Gruppo delle Grigne. Ci siamo conosciuti tutti lì, sui quei vagoni. Poi, arrivati a destinazione, ognuno prendeva la sua strada in base alle vie che voleva percorrere», spiega Tino. Ad ogni stazione ferroviaria del percorso salivano giovani alpinisti con scarponi a punta quadra, abbigliamento e zaini comprati alla fiera milanese di Sinigaglia, lo storico mercato delle pulci dove si potevano trovare i cimeli militari del conflitto appena terminato. «Io salivo alla stazione di Cernusco-Merate. A Monza, invece, montava il gruppo dei Pel e oss, di cui facevano parte anche Bonatti e Oggioni. Quest’ultimo – ricorda Tino – mi dava sempre un foglio della Gazzetta dello Sport su cui sedermi per non sporcarmi». Si trattava di treni merci, solo anni dopo sostituiti da carrozze passeggeri. E chi non trovava posto si agganciava con un cordino e viaggiava appeso all’ultima carrozza.

Grazie all’alpinismo, Tino ha conosciuto personaggi celebri dell’epoca, figure che hanno lasciato il segno non solo sulle pareti di roccia. «Un giorno Cassin mi dice: tu che sei a casa a far niente, porta questa persona in Grignetta, al Giro del Fungo». Tino si trova così a fare da guida a Gaston Rébuffat, il più grande alpinista dopo Cassin, quello che ha ispirato la sua generazione. «Mi aveva colpito la sua grande cultura, anche artistica», ricorda Tino, «quando mi confessò che quel paesaggio montano lecchese fatto di torri e guglie immerse nella nebbia gli ricordava un quadro del pittore olandese Pieter Bruegel». Sulle pareti portò anche Dante Spinotti, uno dei più grandi direttori della fotografia cinematografica di Hollywood. «Gli piaceva bere il vino e scalare. Gli ho fatto fare la via Segantini e il Torrione Magnaghi. Non ci siamo accorti del tempo che passava e quando siamo tornati a casa la moglie si è arrabbiata con tutti e due. Poi lui è partito per Los Angeles dove ha fatta la sua grande carriera».

Bolivia, Monte Illimani (6440 metri) - Da sinistra: Tino Albani, Pietro Isacchi

Viaggiavo sui respingenti del treno restando aggrappato al vagone solo per sentire l’aria sul viso. Non concepivo l’idea di stare seduto e la montagna mi ha permesso di sentirmi vivo e soprattutto libero.

L’elenco delle cime raggiunte da Tino è impressionante. Tra le più importanti: la ripetizione del trittico delle nord di Riccardo Cassin (Badile, Ovest di Lavaredo e la Walker alle Grandes Jorasses), Bernina, Disgrazia, in cordata con Cassin lo Spigolo Vinci al Cengalo, con Romano Perego percorre le vie più difficili delle Dolomiti. Nel 1966 compie la sua impresa più ardua, la Bonatti al Petit Dru, nel massiccio del Monte Bianco. Sempre nel gruppo del Monte Bianco, sulla parete della Brenva, Tino ha salito le vie Major, Sentinella Rossa e Moore. E ancora: il Mont Blanc du Tacul, la Bonatti-Ghigo sul Grand Capucin, lo sperone e il canale Gervasutti. E poi giù, in Sud America: l’Huascarán (6768 m), la più alta montagna del Perù, dove ha scalato anche l’Alpamayo (5047 m) nella Cordillera Blanca delle Ande peruviane, l’Illimani (6440 m) in Bolivia. In Asia, il Satopanth della catena del Garhwal nell’Himalaya (7084 m).

Tino Albani non è stato solo un alpinista, ma anche un esploratore. Nel 1965 vola in Groenlandia dove valica ghiacciai vergini e arrampica su cime inviolate. Quella stessa sete di avventura lo porta poi nei deserti attraversando con i Tuareg tutto il Sahara dall’Algeria alla Libia, dal Niger al Mali fino al Ciad, in mezzo alle dune e ai torrioni rocciosi che ha poi scalato. Gli Ottomila, invece, non furono molto generosi con lui. Ci aveva provato nel 1990 sul Cho Oyu con Fabio Lenti, ma la spedizione non ebbe esito positivo. «Le condizioni erano pessime e faticavo a recuperare. Però – ricorda sorridendo – avevo portato degli insaccati Beretta (marchio di un’azienda brianzola, ndr) e all’ultimo campo base mi ero fatto fotografare con una coscia di prosciutto crudo. Beh, quello scatto è poi finito nell’ufficio del patron dell’azienda con tanto di slogan, Beretta mai così in alto».

Quando gli chiedo perché ha scelto l’alpinismo mi risponde: «Mi è sempre piaciuta l’idea di salire in alto. Da piccolo mi arrampicavo su una magnolia a studiare. Scendevo solo per rubare qualche ortaggio nell’orto di un vicino. C’era la guerra e bisognava inventarsi qualcosa. La verità è che ho sempre amato l’anarchia e la ribellione estrema. Viaggiavo sui respingenti del treno restando aggrappato al vagone solo per sentire l’aria sul viso. Non concepivo l’idea di stare seduto e la montagna mi ha permesso di sentirmi vivo e soprattutto libero».

Tino Albani in montagna ci va ancora, tutti i mercoledì e le domeniche. La meta è sempre quella, i Piani dei Resinelli, destinazione anche del viaggio di nozze trascorso nel lontano 1959 al Rifugio SEM Cavalletti e dove andava in vespa con moglie e figli, tutti sulla stessa moto. «La macchina conosce la strada. Cammino un po’ lungo la traversata bassa delle Grigne, parlo in dialetto brianzolo con i camosci che ormai capiscono e mi diverto osservando i turisti risalire con le infradito».

Quando ci salutiamo mi ricorda che non è tecnologico e che l’articolo andrà stampato. «Al Cai si lavora tutto in digitale e io mi sento tagliato fuori. Però ho tutto nella testa. Per questo non posso morire».

Se non ha realizzato il sogno di diventare aviatore, Tino ha comunque trovato la sua libertà scalando verso il cielo, lasciando così un’impronta indelebile nella storia dell’alpinismo italiano.
_____
1) Il Club alpino accademico italiano (CAAI). Nato 1904 con lo scopo di riunire i soci Cai che hanno acquisito meriti speciali nell’alpinismo senza guide.

Roberta Orsenigo

Roberta Orsenigo

Sono giornalista pubblicista, copywriter e autrice di testi per produzioni video.


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1 commenti:

  1. Pietro Isacchi I ha detto:

    Con Tino ho salito l’illimani fu il ma bellissima esperienza ci divertimmo un sacco mi ha fatto piacere vedere la foto di noi due sulla cima .

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