Classe 1930, lucido come un ragazzino, durante l’intervista non ha bisogno di essere imboccato con le mie domande. E in quasi tre ore di intervista, ho il privilegio di viaggiare con lui dalle Alpi all’America del Sud, faticando non poco per non perdermi i tanti aneddoti della sua avventurosa vita e il caleidoscopio di personaggi mitici.
Istruttore nazionale di roccia nel 1956, di ghiaccio nel 1966, accademico del CAI dal 1967, Tino è stato anche per molti anni istruttore e direttore di corsi della Scuola Nazionale di Alta Montagna Agostino Parravicini. «Volevo davvero fare l’aviatore, ma la mia famiglia non era d’accordo», mi dice. «Avevo solo la licenza media, ma una bella grafia. Così, grazie a mia mamma, sono stato assunto alla Banca Briantea di Merate, il mio paese natale, dove compilavo cambiali e attaccavo francobolli. Ho fatto carriera imparando il mestiere, fino a diventare direttore di filiale».
Si avvicina alla montagna con Luigi Magni, mentore anche di un altro grande alpinista della scuola brianzola, Romano Perego. «Ho iniziato a scalare dal 1947. Tra le prime ascensioni, ricordo il Resegone lungo la Torre Elisabetta». Quella parete con difficoltà massima IV+ anziché spaventarlo accese la sua passione per la scalata. Le montagne lecchesi come la Corna al Medale e la Grigna Meridionale (la Grignetta), pur non altissime ma tecnicamente impegnative, divennero presto il suo terreno d’allenamento.
In cordata, con lui si legarono Luigi Magni, Augusto Corti, Peppo Conti, Angelo Zoia, Romano Perego e Riccardo Cassin, solo per citare alcuni dei grandi nomi che hanno fatto la storia dell’alpinismo italiano. «Non c’erano i libri, mappe o altro. Al Pizzo Badile bevevo una lattina di birra per lasciare un punto di riferimento dell’attacco delle vie. So che non si deve fare, ma allora era così», sorride ricordando l’aneddoto.
Con Tino ho salito l’illimani fu il ma bellissima esperienza ci divertimmo un sacco mi ha fatto piacere vedere la foto di noi due sulla cima .