Ho constatato, dopo attente e profonde riflessioni, che i leoni sono sostanzialmente dei nullafacenti.
Pigroni. Se ne stanno là, nel cespuglio, a pancia in su, a girarsi e rigirarsi e girarsi e rigirarsi mentre intorno qualche jeep curiosa si ferma per vedere se succede qualcosa. Ma, cari speranzosi, non succede niente. Quelli non si alzano. Pensate che la nostra jeep è pure quasi caduta nella fossa davanti ai loro cespuglio. Con noi dentro, tra l’altro, ma il punto è che loro non si sono mossi, i pelandroni.
Capito cosa intendo? Tu vai nella savana pronta a vedere Simba sulla rupe dei re, ruggente e fiero, con la criniera al vento, e invece è nel cespuglio. A dormire. E pure a pancia in su.
Comunque non possiamo certo lamentarci, perché, a parte la delusione leonina, la savana è lo spazio più sorprendente che si possa trovare. Spazi immensi, colori, ma soprattutto silenzio. Una cosa veramente surreale. La jeep va, e potete immaginare il rumore che fa una jeep da dieci posti. Poi in jeep si parla, Steve, il Bushman, ci parla degli animali, delle sue esperienze da giornalista, del complicato confine tra i parchi di Masai Mara, dove siamo noi proprio adesso, in Kenya, e il tanzaniano Serengeti. Ecco, si va così in jeep, ammirando gli spazi che ci circondano, ben consapevoli di non essere affatto separati da niente. Siamo parte di tutto, tutto è parte di noi.
Respiro il silenzio. Respiro l’essenza. E con l’essenza, penso all’assenza.
Andando così, con il rumore della jeep sulle piccole strade sterrate del parco come colonna sonora, Steve si ferma. Si ferma sempre per un motivo, e il motivo è sempre grandioso. Un ghepardo nascosto nell’erba alta. Un branco di elefanti che si muovono impercettibilmente. Un’estesissima prateria con migliaia di animali. Steve frena, tira il freno a mano, spegne la macchina. Ed è silenzio. E lì io ho capito una cosa. Che noi non abbiamo capito niente del silenzio, finché non capiamo questo, che non abbiamo capito niente del silenzio. Immagina. Un’estesa prateria con migliaia di animali. Ci sono zebre (troppe), bufali (buffi), gnu (bruttini), facoceri, giraffe, ed elefanti – ricordate bene, elefanti. Ecco. Tutto è silenzio.
Si sente un po’ di vento. Un silenziosissimo rumore di erba che si sposta. Basta. Nient’altro. Lo giuro! Un silenzio surreale, meraviglioso, che ti riempie. E lì ho capito una cosa (un’altra). Che non c’è distinzione alcuna, che agiamo tutti insieme, in uno spazio tridimensionale, in cui non si cammina in una linea orizzontale, ma in una sfera, dove è tutto un avanti-indietro di rapporti, di incontri, di silenzi e di non silenzi. E c’è un tempo per tutto, un’idea biblica e millenaria, ma per me mai più vera di adesso. Respiro il silenzio. Respiro l’essenza. E con l’essenza, penso all’assenza.
Steve, il Bushman, è la nostra guida per questa settimana in Kenya. Steve non ha mai un percorso costruito, lo stesso per ogni ospite. Steve capisce subito le persone. E capisce dove può portarle. Di noi ha capito tutto. Ci ha portato due giorni nel parco delle Aberdares (potremmo, e dico potremmo, essere un tantino ossessionate con il film La mia Africa. Steve potrebbe, e dico potrebbe, averlo capito, e ci ha portato in certi posti che potrebbero, e dico potrebbero, essere stati parte del film). E poi Masai Mara, al confine con la Tanzania. Tutti i posti in cui abbiamo dormito sono parte di progetti per la comunità e per la salvaguardia dell’ambiente, iniziative che ci stanno a cuore, e Steve lo sapeva bene! Ci ha preparato un itinerario fatto di grandi spazi e silenzi, ma anche di piccoli spazi e di conversazione. Un equilibrio perfetto, e non esagero. Difficile da spiegare.
La mia vita è un sentiero, ed è un sentiero fatto di essenza e di assenza.
Comunque, parlavamo di Steve. Steve ha una guida sicura e ferma. Conosce tutte le strade del Kenya e sa bene dove portarci. E nelle strade, perlopiù sterrate, mi guardo intorno e vedo colore. Vedo strade di un colore argilla deciso, forte. Vedo il cielo azzurro come non mai. Cespugli di un verde vibrante, jaracande lilla, e sorrisi. Bisognerebbe soffermarsi più spesso sul colore di un sorriso. I sorrisi che riceviamo questa settimana sono parte di quel tutto, mai come ora percettibile. Siamo insieme. Il sorriso è essenza. E ancora penso all’assenza.
La mia vita è un sentiero, ed è un sentiero fatto di essenza e di assenza. Cromaticamente parlando, l’assenza di colore è nero. E anche quello deve essere parte del mio sentiero. Il mio sentiero ha tutti i colori, i grandi spazi, il vero e proprio riempimento d’anima arrivatemi grazie ai giri in jeep con Steve in Kenya. Ma per ripensarci, per ritornare a quelle emozioni, devo prima svuotare il sentiero, renderlo senza colore, rumoroso, e lasciare che la trascendenza lo riempia. C’è un tempo per tutto. Un tempo per il nero, che dà poi spazio al colore. Assenza ed essenza. Che liberano del superfluo, e riempiono di immensità.