Recensione

La parete

Marlen Haushofer nel suo romanzo La Parete ci fa incontrare una donna, pur forte, ma destinata a scomparire, e non solo metaforicamente, in una natura che può ben stare senza di lei. E di noi.

testo di Davide Torri

Un’immagine dal film Die Wand (2012) – by Julian Roman Pölsler – Starring Martina Gedeck, tratto dal libro di Marlen Haushofer
24/03/2019
3 min

Antefatto
Mancano pochi giorni al Natale e sono in una libreria alla ricerca di qualche buon libro da regalare. Su uno scaffale mi attira una bella copertina vecchio stile e decido per l’acquisto. Per una serie di imprevisti passerà il Natale senza che venga donato e così, per non intristire il libro (che resta lì al buio della carta regalo), apro il pacchetto e decido di leggerlo io.
Il libro è La parete della scrittrice austriaca Marlen Haushofer, edizione e/o, 2018.

In un mondo – quello di oggi – in cui la tragedia viene gridata e sbandierata con toni animaleschi e drammatici e dove, dopo una manciata di giorni, viene dimenticata, spostata, annullata e sostituita da un’altra altrettanto urlata e strombazzata sui media e sui social (indipendentemente dal reale peso della tragedia stessa) e che a sua volta non durerà poi molto di più, incrociare il linguaggio distaccato di Marlen Haushofer è quantomeno spiazzante. Sì, spiazzante perché la scrittura pacata della autrice, nata in Stiria nel 1920, nella sua stesura originale senza interpunzione né divisione in paragrafi, ha un basso continuo angosciante e crudele che ci porta ad impattare con la violenza e il dramma in una forma ancora più terribile proprio perché ci appaiono come accadimenti che si perdono nella rassicurante, quanto finta, quotidianità borghese.

Scrive Haushofer che “dal momento che vedo le cose con grande acutezza e non intendo far male a nessuno, sono spesso costretta a mentire” ma con La parete, un libro che “è la storia di una gatta”, l’autrice sembra meno costretta alla falsità.

La parete viene pubblicato per la prima volta nel 1963 e, poi, nel 1968 ma solo dopo vent’anni diventa un libro importante e conosciuto. Marlen Haushofer diventa allora una autrice – a diciotto anni dalla sua morte – che riceve, per la sua capacità nell’anticipare e nel proporre tematiche che diventeranno attuali e irrimandabili, attenzione dal grande pubblico. La sua concezione della guerra, della violenza, del conflitto tra i generi, la ricerca della non violenza e, nel caso del libro in questione, il rapporto tra uomo e natura la mettono a fianco di grandi scrittori di culto (una definizione che non amo ma la Haushofer riceve ampiamente il mio, personalissimo e limitato).

La protagonista si trova, senza nessun segnale premonitore, ad essere divisa dal mondo esterno, morto e deserto nel tempo di una notte, da una parete trasparente, invalicabile e resistente. La parete circonda la montagna dove sarà costretta a sopravvivere in compagnia di gatti, con e senza nome, un cane, una vacca e il suo vitello e altri animali selvatici. Inizialmente, e riduttivamente, paragonato ad un Robinson Crosue al femminile La parete è invece un distaccato quanto ipnotico viaggio dentro l’anima della protagonista e della Haushofer (che cosa è l’anima? probabilmente non l’ho mai avuta)[i]
Sono tanti i temi che La parete intercetta ed ognuno può ben tirar fuori quello che più lo colpisce. Dalla malinconia per una infanzia che non ci può accompagnare sempre alla paura di un disastro nucleare. Credo che il più significativo, oggi, sia quello del ritorno alla natura. L’idilliaco quanto auspicato ritorno al bucolico che, tra le barbe ben curate che frequentano certi ambienti, solletica così tanto. Ma viene da dire leggendo le quasi duecento pagine del libro, in modo sintetico: “Ritorno alla Natura? Ma anche no!”. Ne La parete la Natura è, come è, un luogo di fatica, di sopravvivenza, di paura, dove in ogni momento è presente il ciclo della vita e della morte.

Dopo aver segato abbastanza legna, mi accinsi a spezzettarla (…) mi procurai una ferita sopra al ginocchio con l’ascia. Non era profonda, eppure persi molto sangue e mi resi conto che dovevo essere più attenta .“

La montagna è circondata da questa alta parete e là fuori il mondo se ne è andato per sempre. Fuori,ma anche dentro la parete, l’uomo non è certo un elemento positivo. Né tantomeno la sua opera presuntuosa.

Qui, nel bosco, in realtà mi trovo nel posto che mi spetta. Non serbo rancore ai fabbricanti di automobili (…) Tubi del gas, centrali elettriche e oleodotti: ora che gli uomini non ci sono più mostrano infine la loro vera, misera faccia (…) la Mercedes nera di Hugo (…) oggi è ricoperta di intrighi vegetali, un nido per topi e uccelli (…) si dovrebbero piazzare più automobili nei boschi.

Haushofer ci porta in una Natura dove la protagonista riflette – La parete è un lungo monologo interiore della donna – sul suo ruolo e del rapporto che lei stessa ha con le creature della montagna. Con loro e con il futuro intero del mondo e ci dice come solo la responsabilità più convinta, ed anche estrema, può darci un lumicino di speranza. Forse.

Vidi una volpe ferma a bere vicina al ruscello (…) avrei potuto spararle, portavo con me il fucile, ma non lo feci (…) L’unica creatura in grado di agire veramente in modo giusto o ingiusto sono io. E solo io posso esercitare clemenza. A volte desidererei non essere gravata dal peso della decisione. Ma sono un essere umano, e posso pensare ed agire solo come tale.

La parete è un libro sconcertante, la scrittura sembra monocorde, senza nessun acuto, obbligo o spinta a continuare la lettura eppure ti avvolge come una edera e non ti lascia andare, persino i segnali che anticipano i drammi successivi scompaiono nel vuoto memoriale della protagonista. E così scopri che la Natura, quasi come a riprendere in mano il Libro della Genesi riveduto dalla Haushofer con una matita dalla doppia punta rossablu, non porta a nessuna riconciliazione tra l’uomo e la donna e che il primo è ancora (ed ancora lo è oggi) portatore di violenza che ti raggiunge sempre ed ovunque, anche in mezzo ad un’alpe, in cima ad una montagna circondata da una alta parete di vetro.

Nel pascolo c’era un essere umano, un uomo sconosciuto, e davanti a lui giaceva Toro. Vidi che era morto (…) Lince si lanciò contro l’uomo e cercò di azzannargli la gola (…) vidi balenare la scure e la udii abbattersi con un suono cupo sul cranio di Lince.

La parete[ii] è un libro cupo, un precipizio che ti spinge verso il basso, la scrittura di Haushofer è la versione carta vetrata di un altro autore, Karl Ove Knausgård, che ci porta, lentamente e inesorabilmente dentro la mente di chi scrive. E la mente di Marlene non è certo un quadro del Rinascimento : “il cervello finalmente la smetterà di pensare. Per questo sia lodato Dio, che non esiste”. Ma è un libro bellissimo e pieno di ferite: come è la Natura. Oggi più di allora.
_____
[i] dal diario dell’autrice, ultima annotazione prima della sua morte il 21 marzo 1970.
[ii] Oltre a LA PARETE è possibile recuperare, in Italia, altri libri di Marlene Haushofer: LA MANSARDA, Edizioni E/O 1994; UN CIELO SENZA FINE, editrice E/O 1992; ABBIAMO UCCISO STELLA, Edizioni E/O 1993. Inoltre, nel 2012, da LA PARETE è stato tratto il film Die Wand di Julian Pölsler interpretato da Martina Gedeck,  protagonista in “Le vite degli altri” e passato, in sordina, alla 60.ma edizione del Trento Film Festival.

Ne La parete la Natura è, come è, un luogo di fatica, di sopravvivenza, di paura, dove in ogni momento è presente il ciclo della vita e della morte.
Davide Torri

Davide Torri

Insegnante di educazione fisica. Da diversi anni promuove iniziative dedicate alle terre alte (e anche alle montagne di mezzo). Ha prodotto documentari e spettacoli teatrali, organizzato convegni, incontri, mostre, costruito progetti di microeconomia alpina, pubblicato saggi e ricerche: il tutto dedicato alle montagne e alla gente che sopra ci vive (in pace). Collabora con altitudini da molto tempo.


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