Carissima Simonetta,
ieri sera mi hai detto della correzioni da fare al testo del mio ultimo libro. Tutte legittime naturalmente, e che farò appena riceverò le tue note. Volevo solo spiegarti il perché degli anacronismi contenuti nel brano del primo capitolo di “La finestrella delle anime” che riguarda l’usanza, iniziata nel ‘600 in alcuni paesi delle valli valdostane e della Valsesia, di far suonare la campane di mezzogiorno alle undici in ricordo della cacciata di Giovanni Calvino da Aosta.
Ieri sera mi dicevi che il lettore non avrebbe capito il carattere ironico e iperbolico delle parole: mettiamo che quella donna fosse nel seminterrato a stirare, riferite a una contadina walser del 1600 e che, sempre il lettore, avrebbe preso alla lettera quanto affermavo, mentre è molto improbabile che ad Alagna Valsesia nel 1600 si stirassero i vestiti, tantomeno nel seminterrato, dove c’era semmai la stalla.
Aggiungerei che lo stesso varrebbe per la frase che segue: e aveva messo a cuocere il riso, che è forse ancora più fuori luogo, in quanto allora i soli cereali coltivati lassù erano segale, orzo e panìco.
Su “Cucina d’Alpe” di Enrico Rizzi (Fondazione E. Monti 2003), di 30 ricette raccolte in tutti i paesi walser delle Alpi, solo 2 riguardano il riso, ma sono adattamenti moderni di antiche ricette fatte col panìco. Se il riso, e soprattutto la farina bianca di grano, giungevano su queste montagne non era tanto per l’uso consueto degli abitanti ma per il molto più lucroso contrabbando: «Con l’occasione di condurre sali di transito, rivela nel 1590 un discorso manoscritto “sopra lo sfrodo del grano” … sogliono nei sacchi comodati alla foggia del sale… estrarre di sfrodo i grani. Oltre alla via ordinaria di valle Anzasca e valle Antrona vi è anche il passo per Varallo Sesia, passando il Monte del Turlo» (Rizzi, op. cit.).
Quindi, se, provenendo dalle pianure del vercellese il riso passava da Alagna, non era certo per il consumo locale, ma per il contrabbando. Sempre in “Cucina d’Alpe”, di riso si parla solo in una ricetta della val Formazza, ma, come riferisce l’autore: «A Formazza “la minestra bianca” con riso e latte era il piatto tradizionale della vigilia di Natale», cioè molto rara e casomai usata solo nelle feste.
Ultima e non meno grave incongruenza contiene la mia terza affermazione: il problema più grande era quello dei bambini che a mezzogiorno bisognava andare a prendere a scuola. Che scuola vuoi che ci sia stata nel ‘600 ad Alagna? Forse per i più ricchi quella del prete, ma anche in questo caso non occorreva certo andare a prendere i figli in un villaggio di montagna composto da una manciata di frazioni di poche case ognuna.
E allora? Domanderai tu: se queste cose le sapevi perché hai voluto a bella posta sembrare ignorante?
Perché, come dico anche nell’introduzione al mio libro: questo non è un libro serio, nel senso che non si prende sul serio, e spesso, almeno negli intenti dell’autore, è scherzoso e leggero. In esso voglio affermare il diritto, e anche il dovere, della letteratura di raccontare storie, non la Storia, questa l’ha già raccontata il Rizzi.
Il fatto che nella seconda pagina del primo capitolo di “La finestrella delle anime” si affermi che ad Alagna Valsesia nel 1600 le massaie stiravano i vestiti nel seminterrato, cucinavano tutti i giorni il risotto, e andavano a prendere i figli a scuola, altro non è che una presa in giro, non dei Walser, ma di noi, che viviamo in una villetta urbana nel 2020. Che lo faccia all’inizio del libro da un lato mette subito in guardia il lettore: attento non prendere sempre alla lettera quello che ti racconto, dall’altro però mi fa incorrere nel rischio dell’incomprensione.
All’inaudito, cioè a quello che non si è mai udito non siamo abituati, ma è proprio compito di un bravo scrittore riuscire a far digerire l’inaudito. Il mio errore è stato di non preparare il lettore all’inaudito, infatti tu stessa mi hai rimprovero la mia prima affermazione, quella del ferro da stiro, ma non la seconda e la terza: digerito il ferro da stiro era già più facile digerire il riso e la scuola.
Quando riceverò le tue note propongo quindi di correggere la prima frase con: mettiamo che quella donna fosse in casa a fare i mestieri, aggiungerei alla seconda le parole: ammesso che ad Alagna ne fosse arrivato dal vercellese, e alla terza: ma che scuola volete ci sia stata nel 1600 ad Alagna?
Ricordi il libro “i 3900 delle Alpi”? C’è un mio racconto sulla Nord dell’Eiger in cui immagino che il rifiuto di uno dei vincitori, Anderl Heckmair, di ricevere dalle mani di Hitler la medaglia olimpica, provoca un’insurrezione che fa cadere il nazismo nel 1939, per cui la seconda guerra mondiale non scoppiò. Mi sembrava di aver sparata così grossa che nessuno avrebbe potuto crederci, ma un paio di anni dopo l’uscita del libro mi giunse una email dal direttore di una biblioteca di una sezione del CAI che mi chiedeva conto di tale affermazione. Dovetti spiegargli che avevo fatto uso dell’ucronia, come nel romanzo di Phil Dick “La svastica sul sole”, in cui si immaginava che i nazisti avessero vinto la seconda guerra mondiale, con le conseguenze del caso.
Vabbè, l’ho già fatta troppo lunga. Ancora grazie per il tuo lavoro. Ci vediamo presto,
Alberto.