Racconto

La bolla di sapone

testo e foto di Omar Gubeila

Alpi e Prealpi Giulie ormai fuori dalle nebbie
08/04/2020
4 min
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Il dissolversi della nebbia e la prorompenza del sole sono tali che mi strappano un “oh!”

Sveglia presto, tanta voglia di andarmene in giro per i monti. Vestiario ridotto confidando nelle ultime belle giornate.
Senza destinazioni mi affido al mio mezzo che ci dirige a N, verso l’alpe, sono felice.
Il sole sorge mentre parcheggio nei pressi del rifugio in piena solitudine.
Larici che dal verde acido si trasformano in giallo intenso, con sfumature arancioni.
Calcare grigio in pieno contrasto con il cielo blu del giorno nuovo.
Mi addentro in una strana atmosfera. Il vento soffia freddo; attorno la nebbia corre veloce portando via il sole e i punti di riferimento.
Gelo ovunque, più mi addentro in questo freddo tunnel più l’incomprensione cresce e mi spinge ad avanzare verso il nulla. Non ho presente dove sia finito.

Cresce un’agitazione indecifrabile, un presentimento che con il cammino si trasforma nella ricerca di una non ben precisata “cosa”.
Sono nei pressi della Grotta di Attila, decido di farci un giro; munito di frontale mi addentro all’interno.

L’ antro stretto ha come pavimento un ruscello che filtra dall’esterno. A 30 m dall’ingresso l’acqua sul fondo non permette di proseguire.. Spengo la luce e valuto la possibilità di uscirne senza.

Cos’è!?

Il cuore batte all’impazzata.
E’ nel buio – niente di pauroso, una suadente risata sommessa che, manifestandosi, per un attimo ha alleggerito la cappa di oscurità.
Comincio a credermi pazzo, forse il freddo mi ha preso la testa.
E’ il caso di uscire, velocemente.
Riprendo il cammino fino ad una sella di confine, poi mi dirigo verso la Creta di Aip.
Il sentiero segue la displuviale; oltrepasso mughi ricche di sassi dalle svariate forme, in bilico tra l’Austria imbiancata e l’Italia indossante tonalità autunnali.
La nebbia mi accompagna ancora.
Sembra la Scozia questa montagna carnica: dai prati emergono dolmen di un calcare simile al granito, vecchio, arrotondato e ricoperto di licheni come le pietre celtiche che si vedono nelle cartoline.

Un rumore alle mie spalle mi distoglie da questi pensieri, vedo Saverio sbucare dalla macchia di mughi e mi alzo per riprendere il cammino. Illuminato dalla fredda luce dell’ultimo sole torno ad abbassare lo sguardo, la mente già rivolta alla nuova partenza ma negli occhi ancora l’immagine di un momento di eternità.

Il dissolversi della nebbia e la prorompenza del sole sono tali che mi strappano un “oh!”.

La giornata è splendida e mite.
Il sentiero taglia tutto il versante, a ridosso delle pareti mi fermo a studiarne le vie.
Di nuovo quella cosa! Proviene dalla sella sovrastante! Attorno non c’è anima viva.

Il panorama è magnifico, il classico mare di nebbia.. Mi stendo a terra e mi godo tepore e ambiente solitario.
Forse alla vicina sella troverò la fonte di queste mie “visioni” e mi ci dirigo… Niente!
Poi è la, nuovamente sghignazzante, sul sentiero verso la Creta di Rio Secco.

Lì dietro non ci son mai stato, faccio una capatina… E su per il sentiero sassoso. Trovo tratti ghiacciati dove gli animali del posto son passati in massa. Il ghiaccio lascia posto alla neve polverosa che ora ricopre tutto.
La “cosa” oramai è distinguibile. E’ là, in cima.

Il paesaggio carsico è alienante.

Il sentiero valica ponti naturali tra inghiottitoi enormi, tutto è bucato, calcare e neve, erosione e ghiaccio.
E’ scomparsa, non si sente più; persa mentre curiosavo in questi buchi. Fare tanta strada inseguendola per smarrirla è una presa in giro per me stesso!
Non resta che salire alla cima. Ci arrivo in breve.
Sono contento, il panorama è eccezionale.
Godo della mia solitudine perdendomi nei miei pensieri.

Mangiando sento un rumore lì vicino. Batto con gli scarponi attendendo un incontro con qualche animale. Niente. Prendo coraggio e sposto un sasso. Resto a bocca aperta!

Da terra si innalza formandosi una grande bolla di sapone.
Veste i colori dell’autunno, del cielo blu della cima, si trasforma, cambia aspetto in forme belle e seducenti; ride, mi guarda divertita.
Profuma di erba secca, di mugo e roccia. Poi ancora di pioggia estiva in un bosco di abeti. Si allarga a comprendere tutte le cime visibili e le mostra facendomi riconoscere rilievi saliti e non.
Come in uno schermo passano immagini di amicizia vera e di ragazzi legati alla vita su di una via in montagna, poi corde e moschettoni al sole, serpentine perfette su distese di polvere bianca.
Alzandosi in aria, tra strane acrobazie, mi saluta e si allontana in un lampo verso il Sernio.

Incredulo capisco che il Ranch stamattina ha girato verso Lanza seguendo le “sue” indicazioni e che mi toccherà andare a cercarla dalle parti del Sernio la prossima volta.

Ero lì, ad un passo dal prenderla e imprigionarla nello zaino, ma è meglio lasciarla libera di volare sopra le montagne.
Alcuni la chiamano “libertà”, “spiriti dell’aria”, “divertimento”, altri non sanno neppure definirla.. Io rientro tra questi ultimi.
So solo che è una cosa tanto bella quanto esclusiva e non condivisibile..
Che sappia chiedere scusa a mia moglie se così spesso la tradisco con lei?

Omar Gubeila

Non potendomi più definire ragazzo per l'età anagrafica, mi definisco volentieri un uomo montanaro. Le cime hanno sempre rappresentato il mio spazio vitale, dandomi da vivere, cullando i miei sogni e facendomi sentire "a casa". Da appassionato sono diventato soccorritore, gestore di rifugio e scrittore, ma sempre sognatore nell'animo.


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