E’ un edificio lungo e giallognolo, già segnato nel catasto napoleonico del 1814, dove stalla, abitazione e scantinati formano un tutt’uno di tre piani con finestre irregolari e tetto in lamiera; ad un terzo della facciata principale sale, coperta da una vite, la scalinata di pietra che porta al primo piano.
Stefano è classe 1931, allevatore, possidente, bacàn; dimostra tutti i suoi anni con occhi umidi in un viso tondo, pulito, solcato da rughe nette e geometriche; i capelli corti e bianchi, le mani grandi e nodose sempre strette alle ginocchia. Mi aspetta accanto alla stufa verde smeraldo, ingobbito sul divano, con addosso un grembiule dal blu intenso sopra a camicia a quadri e pantaloni di velluto.
Io e Stefano ci troviamo per parlare, abbiamo 52 anni di differenza; sono ormai 12 i nostri dialoghi registrati, 12 interviste per una “storia di vita”.
Di giovedì salgo le scale ed entro in soggiorno senza bussare. Siedo al fianco di Stefano e di fretta accendo il registratore, ho appena il tempo di salutare che le sue mani e i suoi occhi iniziano a inquietarsi: sono le parole a premere, a diventare prima sguardi e gesti, poi racconti lunghi e gonfi. Stefano racconta del passato, della vita da contadino: è memoria, ricordo, rievocazione del suo mondo antico segnato da avventure giovanili e attività lavorative. Racconta per aneddoti Stefano, narrandoli tutti d’un fiato, quasi in affanno come sommerso dalle parole, mettendo sé per l’alto mare del racconto. È l’11 febbraio 2016, l’ottava intervista, quando Stefano mi racconta del siór inglese.
Stefano e l’inglese
È l’estate del 1938 a Malga Ces, Stefano ha 7 anni ed è lì con il padre Giovanni, capomalga.
Ces è un alpeggio poco distante da San Martino di Castrozza, è una zona ampia e comoda, la più importante malga del Priorato: capace, nel 1839, di ospitare 200 bovini e 400 pecore. Un secolo dopo, nel 1938, i capi bovini sono meno numerosi: al mese di giugno pascolano circa 140 vacche, manze e vitelle provenienti dai prati di mezza quota. Hanno seguito la stagionalità del prealpeggio, el tramudhàr da un prato privato all’altro inseguendo l’erba: brucano e concimano, poi cambiano prato, e l’erba poi ricresce per essere falciata. D’autunno avviene l’inverso: il postalpeggio dall’alto al basso.
Gli animali della famiglia di Stefano tramùdhano per nove volte da marzo a dicembre, su quattro pràdhi differenti, ognuno dotato di casèra e stàla e tabià: dalla stalla di Siror ai Danói, poi Camp, poi Còl, quindi malga Ces; per il rientro si ripassa da Còl, Camp, Danói, poi si sale a Polìna, infine alla stalla di paese.
Il padre di Stefano è capomalga dal 1934, e lo sarà fino al 1943. A lui vengono affidati animali di Siror e Tonadico, provenienti da piccole stalle a gestione familiare: a Tonadico, in quel periodo, sono allevati 424 bovini distribuiti in 143 stalle, poco meno di 3 capi ognuna. In malga sono poi cargàdhi maiali, galline, pecore e queste vengono segnata con una “c” rossa sulla schiena e lasciate brade fino a settembre sulle creste erbose del Colbricon assieme a quelle delle malghe limitrofe.