QUESTO GIOCO DI FANTASMI
di Michela Canova (altitudini, 8 marzo 2013)
Ha alle spalle vie dai nomi altisonanti come Don Quixote, Philipp-Flamm, Sperone Walker, che inducono qualsiasi alpinista a uno sguardo di rispetto, conservate nello zaino assieme a decine di classiche sulle Dolomiti e altrove. Eppure l’ascensione che gli ha dato maggiore soddisfazione si trova poco distante da casa, tra le vette dell’Alpago, visibile con il binocolo in ogni momento di nostalgia avventurosa, nell’attesa che si ripresentino le condizioni favorevoli. Per tornare a mettere le mani su quella roccia tanto vicina, sentita come propria, di famiglia.
Ogni scalatore ha la sua montagna. Quella di Barry Bona è il Cimon di Palantina perché, come dice Bruno De Donà, uno dei suoi alpinisti di riferimento: “Non serve andare in Patagonia per trovare l’avventura”.
Prima di arrivare a scoprire la Palantina, Barry ha seguito il suo percorso di formazione alpinistica, partendo dalla Tissi alla Torre Venezia con lo zio Ettore a soli 14 anni, ma ancor prima grazie all’educazione del padre Alvio, che ha iniziato con le prime doppie sui sas negli anni ‘70, frequentando poi il Falzarego e la scuola dei De Nes e di Nani ‘Falco’ di Fortogna, per farsi i calli e partire anni dopo ad esplorare le montagne di casa, con la prima invernale della “vecchia” Vazzoler in Palantina nel ‘77. Sì, perché nel ‘25 furono due di Conegliano, Mario Vazzoler, appunto, e Alessio Alvazzi Del Frate, a scalare in estate la via sul Cimon.
Prima le montagne dell’Alpago erano prerogativa di cacciatori, pastori, s’cioseleri, che conoscevano come le loro tasche tutti i ripidi viàz. Sul versante friulano il Cavallo era più frequentato, Emilio Comici lasciò le grotte di Trieste per farci la prima salita. Solo in seguito subentrarono itinerari esplorativi, sul Messer ad esempio. Il vittoriese Rino Costacurta, al quale fu dedicata la ferrata sul Teverone, negli anni ‘40 tentò altre vie. Mentre “di là”, sulle pareti orientali del Cavallo e del Cimon di Furlani si muovevano i friulani Appi, Corona, Shmaltz, “di qua” i fratelli Bona, raggiunta la maturità alpinistica, scoprivano la veste più coinvolgente del Cimon di Palantina, quella invernale.
«I colatoi ghiacciati, o goulottes, si formano quando le condizioni della neve sono giuste, devono alternarsi nevicate seguite da piogge abbondanti, per poi nevicare di nuovo e ghiacciare il tutto. E’ un caso che capiti questa sorta d’incantesimo» spiega Barry Bona, «le pareti diventano un piccolo mondo chiuso nella valle, per noi magica». E sulle pareti “di casa” Barry ha concentrato negli ultimi anni tutto il suo alpinismo, come prima di lui aveva fatto Alvio, che oggi ne segue i movimenti ai piedi della montagna in Val de Piera.
«Nella buona stagione, le mete sono sempre le Dolomiti, in particolare le più vicine nella Val di Zoldo e nell’Agordino. Prediligo le grandi classiche, per cercare di cogliere lo spirito di chi le ha aperte, sono molto appassionato della storia dell’alpinismo. Il 2007 è stato forse l’anno più intenso», ricorda Barry «l’affiatamento con il socio Peter Moser ci permise di salire in tempi ristretti il Philipp in Civetta, la Don Quixotte in Marmolada, la Biasin al Sass Maor e tante altre classiche dolomitiche. Ma prima di quell’estate, quindi d’inverno, avevo salito con papà una sua via sul versante nord del Colombera, sopra Casera Palantina. Fu proprio con quella salita che venne a galla il valore delle montagne di casa. Ero entusiasta di vedere come le condizioni ideali della neve trasformassero dirupi di roccia precaria altrimenti impraticabili, in pareti ghiacciate di tutto rispetto, simili a quelle del Monte Bianco».
La tecnica della progressione sugli attrezzi da ghiaccio permette di superare roccia marcia, zolle d’erba gelata, oppure fessure ghiacciate e fughi di neve. Peter Moser è alla sua prima esperienza con le pareti nord quando con Barry sale la Vazzoler al Cimon:
«Nel 2007 era ancora molto giovane e già si notava una grande predisposizione. Ora Peter può confrontare e paragonare il Cimon d’inverno con la nord dell’Eiger, avendola salita di recente in condizioni invernali difficili ed è diventato una guida alpina molto apprezzata. Sono fiero di lui. La Vazzoler era così bella con il suo sviluppo di 500 metri, tutto erto e ghiacciato, che dopo alcuni giorni ci tornai da solo, me la pappai in un’ora, ma non era questione di fare una prima o un record. Ancora oggi conservo dentro di me quell’esperienza solitaria come una delle più entusiasmanti».
Con l’inverno 2011, a gennaio, si realizza l’incantesimo più completo e le pareti brillano di riflessi insoliti, una intricata rete di linee ghiacciate decora la montagna e l’esperienza acquisita negli anni porta a mettere in pratica l’alpinismo d’esplorazione sul Cimon, con l’apertura di nuove vie di misto con l’amico Peter e con il cugino Simone Favero:
«Una cosa strana, colate di ghiaccio come opere d’arte, una concomitanza straordinaria. Con mio padre nel 2008 avevamo aperto la via ‘Ultima frase’, sul versate nord est. Una direttissima alla cima realizzata di pugno senza preparativi. Siamo saliti lo stesso malgrado il brutto tempo, subendo scariche di neve e cattiverie delle peggiori, riscontrando una scalata difficilmente godibile e pericolosa su rocce e neve non adeguatamente consolidate dal gelo. Nel 2011 invece, approfittando delle condizioni favolose, io e Peter abbiamo realizzato ‘Ritorno al futuro’, una variante alla via della Nicchia sulla nord est e aperta nel novembre ’77 dai fratelli Bona, slegati e rapidi fino al punto cruciale della nicchia, dove poi, legati in cordata, abbiamo seguito una linea indipendente suggerita dal flusso del ghiaccio fino in cima».
Di lì a qualche giorno, con papà Alvio, Barry affronta poi la goulotte ‘Zio ragno’, posta proprio sopra al Sasson della Madonna:
«Guardando quelle sezioni di ghiaccio verticali lì a fianco, mi ricordai delle parole di Peter pochi giorni prima: “Perché non cerchiamo di approfittare di quella linea?” E li ho capito subito che avremo trovato pane per i nostri denti e per le nostre becche!».
Nasce così ‘Questo Gioco di Fantasmi’, dedicata agli amici scomparsi, 300 metri sul pilastro più verticale e continuo del Cimon. «Non avevo mai salito un tiro di ghiaccio così effimero ed esposto. Peter è rimasto in balia sul secondo tiro per un’ora, quando è toccato a me il successivo, mi si è resettato il cervello ed è esistita soltanto la scalata. E’ riduttivo, a mio avviso, darle valutazioni numeriche. Per due tiri di sicuro è di un’estrema verticalità, con ghiaccio sottilissimo. La consiglio agli amanti del misto invernale, anche se sarà difficile che ritornino le condizioni ideali. E’ un dono che la montagna ha voluto offrirci per la nostra testardaggine. Questo gioco di fantasmi è la salita che più mi ha portato soddisfazione. Mi piacerebbe che accadesse l’incantesimo di nuovo, permettendo anche ad altri di intraprendere un’avventura simile alla nostra di due anni fa».
Ma Barry non si ferma e a marzo 2011, con il cugino Simone, apre la via ‘Cugi’s corner’:
«Era la colata più evidente, a sinistra del pilastro su cui sale ‘Questo gioco di fantasmi’. Offre alcuni tratti molto ripidi e aleatori, la linea logica del diedro è chiusa in alto da uno strapiombo friabile, sopra il quale abbiamo incontrato 40 metri di ghiaccio e neve pressata molto ripidi e precari, una cosa impressionante e intensamente condivisa con mio cugino come fosse uno dei giochi con cui ci divertivamo da piccoli. Ci sono ancora cose da fare, certo, basta avere fantasia, un’avventura di ricerca e reinvenzione. Devo ringraziare soprattutto i miei genitori, che lasciandomi andare in montagna mi hanno permesso di svolgere un’attività che mi ha fatto bene, sia nel fisico che interiormente. Senza il supporto di chi ti ama e ti vuole bene (e qui comprendo anche morosa e sorella) sono convinto non funzionerebbe altrettanto bene. Quando esco di casa per andare in montagna, sanno esattamente cosa vado a fare, sono a conoscenza dell’importanza dei miei sogni che vado ad avverare. Sono grato ai miei genitori che fin da piccolo mi hanno portato in montagna, certe immagini, seppur sfuocate da occhi di bambino, sono rimaste impresse per sempre. Poi il resto è avvenuto da sé, senza nessuna forzatura esterna».
Nel 2012 Barry ha ripetuto, tra le altre, la via Tiziana sul Colombera:
«Anche lì ci sono fessure e camini, linee naturali che chiamano vie. Con il tempo mi è capitato di ritrovarmi a fare cose che non avrei neppure immaginato di essere in grado di fare. I sogni a volte si confondono ancora adesso con la realtà, i momenti vissuti sul ghiaccio di una cascata in Canada, oppure la forza di reagire a un bivacco a 4000 metri, dopo aver salito lo Sperone Walker in giornata, o ancora la soddisfazione nel condividere le emozioni di una cima con la mia fidanzata o con i miei amici più intimi. Anche se a volte sono tornato a casa combattuto o, peggio, umiliato profondamente dalla montagna. La vita è fatta di salite e discese e bisogna sapersi rialzare anche quando questo risulta terribilmente complicato, quando una passione così forte viene scossa da fatti orribili. “E’ difficile credere in un ideale, per il quale parecchi amici hanno perso la vita” è la frase di un alpinista estremo che si definirebbe sopravvissuto, Mark Francis Twight, uno dei miei miti assieme a Ignazio Piussi, Bruno De Donà e pochi altri».
La stagione delle nevi, lo scorso anno, è stata avara con il Bellunese e niente si è ripetuto di vagamente simile alla magia presentatasi davanti agli occhi di Barry nel 2011. Gli occhi cacciatori di linee di Barry hanno sicuramente individuato altri interessanti percorsi scolpiti nella roccia, ancora da approfondire. Chissà che presto un inverno magico come quello del 2011 possa regalare all’alpinista e ai suoi soci una nuova, invitante veste di ghiaccio per le pareti del Cimon di Palantina e future avventure esplorative da insaccare nello zaino.