Gli spiriti dell’aria scendono dal Monte Colombana sul far della sera e soffiano sul fuoco di fili secchi di carice e sterco di asini e vacche, le cui orme fresche, ancora impresse nella fanghiglia nei dintorni della fontana, raccontano di un transito recente. Ora le sento lontane, forse verso la Valle della Pietra. Lo scampanellare si perde fluttuando indeciso, sommerso a tratti dal vociare forte delle folate di vento, che mi sospingono in avanti facendomi allontanare dalla fonte gelida, luogo di ristoro dopo la ripida salita e la discesa nel sole lungo il crinale selvaggio, tappezzato di arbusti di rododendri e mirtilli, dove si nascondono i galli forcelli.
E ancor più in alto, verso il sentiero esposto a Nord – che per anni abbiamo cercato sempre più in basso, e che per caso quest’estate abbiamo intuito leggendo la traccia incerta al di sotto dei dirupi – sui paglioni compatti, gli spiriti dell’acqua scivolano sui paglioni e mi succhiano dalle dita il succo dei mirtilli, che raccolgo a gran copia all’ombra dei radi larici. Mirtilli scuri e sanguigni, aspri, che fanno stringere gli occhi già socchiusi nel sole, schioccare le labbra secche – ma poi trovammo il modo di aprire la sorgente sul crinale e far sgorgare un getto così limpido e trasparente, misterioso. Da dove viene l’acqua che si trova in cima alle montagne? Acqua cristallina, leggera e scivolosa, raccolta nella borraccia e che diventerà il nostro tè aromatizzato con il timo serpillo che striscia sulle pietre incise di croci.
Cammino scalza per meglio sentire con le dita le singole fibre dell’erba olina. Approdo su sassi stabili, che mi sostengono e sono lavorati dal tempo, scolpiti e levigati: vorrei saperne la storia come se fossero opere d’arte. Ma il loro senso è lì, condensato nella pietra solo apparentemente immobile ed eterna, eppure malleabile e fluida. Al confine del pascolo sono i massi più grandi, informi, spezzati e dalle morfologie complesse e, sotto i ripari, i resti di caselli – dove conservare al fresco i formaggi, o dove far riparare le capre – luoghi oscuri che sanno di muschio e muffe, odore di terra ferrigna. Oscurità segrete, umane e naturali. Si trova una trave, un chiodo, una porta divelta dove pensavi di trovare un masso muschioso, una pigna, un ramo spezzato. Là, dove crederesti possa esserci stata frequentazione umana trovi solo il giaciglio dei camosci, terra pestata e impronte di zoccoli, le fatte dei rapaci o intrichi ancestrali di felci.
Atmosfera incantata, rarefatta, onirica, condita con profumo di muschio umido. Ti vedo fusa con la natura, prendere forma uscendo da una pianta, una fonte, un capriolo. L’Homo Selvadego, dipinto nell’antico studio notarile di Sacco, ti è un complice accompagnatore nel girovagare tra i boschi. La natura è mia Amica, Amante, Maestra.
Prediligo letture “reattive” (emozione > reazione), ma questo racconto mi ha coinvolto. Viva la Natura, Gian Andrea