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[1] E in generale, forse, in tutto quello che c’è d’importante e sensato nella vita. Che vorrebbe dire anche, assumendo per vero quest’assunto, che laddove esista un obbligo (spinta esterna, costrizione) alle cose importanti non sia dato esistere davvero. Ma sarà poi vero?
[2] Ma cosa sono i posti di montagna se non piccoli pezzi di territorio (riserve) in cui esistono ancora, in qualche modo, stralci di tribù con le loro leggi bizzarre, spesso oscure agli esterni, e i loro riti affascinanti e allo stesso tempo retrogradi, inattuali? Non è questo il motivo primo per cui è nato, cresciuto e poi esploso il turismo delle cosiddette “Terre Alte”, fino a far diventare la montagna (territorio montano) un altro Triste Tropico? Ma basta domande divaganti.
[3] Dato metrico, quest’ultimo, utile sotto l’aspetto scientifico della sopracitata questione, ma del tutto inadatto, anzi fuorviante, per capire davvero l’idea, per così dire, antropologica che abbiamo noi – o alcuni di noi – della NGM. Quando per calcolarlo (anzi, per farlo calcolare dall’algoritmo) ho aperto Google Earth e ho attivato la funzione righello, e già che c’ero poi ho misurato anche la distanza tra la cima e casa mia (4,47 km) scoprendo così per la prima volta la distanza esatta, cruda, reale, matematica che c’è sempre stata tra me e la NGM, ebbene in quel momento ho provato qualcosa a metà tra la curiosità e il timore, tra l’eccitante e il sacrilego, come forse dev’essersi sentito l’egittologo Howard Carter la mattina in cui scese i gradini che l’avrebbero portato, primo uomo dopo tremilatrecento anni, ad entrare nella tomba di Tutankhamon. Questo perché la NGM per noi è ed è sempre stata tutto l’orizzonte, il palcoscenico dentro il quale abbiamo vissuto le nostre vite, anche quando le nostre vite erano vissute altrove, come dimostra la storia del prozio; e in quanto orizzonte è ed è sempre stata per definizione senza misura, incalcolabile in termini scientifici; o meglio in termini scientifici calcolabile, ma non comprensibile. L’altezza, certo, quella l’abbiamo sempre saputa. Un po’ sopra i 2000 metri. Ma quel dato non ha fatto altro che educarci fin da piccoli alla sua lontananza, a rendere più tangibile la sua alterità, a sottolineare la differenza inconciliabile tra il nostro fondovalle di acacie, case e fabbriche e la sua cima di mughi, rocce e licheni. La verità, dovendola dire tutta, è che per noi – o per alcuni di noi – la NGM è una divinità. E delle divinità, avendo un minimo di intelligenza, non si dovrebbe mai cercare di sapere troppo.
[4] Passo, ritmo e modo che da molto tempo sono quelli di chi sale sulla NGM non per guardare il panorama, o almeno non soltanto, ma piuttosto con lo scopo preciso di cercare di salvarsi la vita. È forse questa la principale caratteristica della NGM, se dovessi spiegare cos’è, ora come ora, per me. È un farmaco salvavita che so di avere sempre con me. A volte mi basta solo mettere la mano in tasca e rigirarmelo tra le dita, sapere che c’è. Altre volte è necessario prendere la pastiglia, che in questo caso significa ritagliarsi un po’ di tempo, fare un minimo di zaino, vestirsi e partire. Maupassant diceva di non aver mai conosciuto un dolore che un’ora di buona lettura non avesse dissipato. Solo parzialmente d’accordo. Un’ora di corsa in montagna, in certi casi di dolore particolarmente acuto, l’ho sempre trovata una medicina molto più efficace.
[5] Lo so, lo so. Ci tornerò.
[6] Eccomici tornato. Questa sarà con ogni probabilità la parte più controversa e criticabile di tutta la storia. Ma se uno non vuol essere criticato né generare controversie meglio forse non scriva mai niente. Quindi pazienza, e avanti. La loro legna, si diceva. Poi poveretti sti tre, non è che ci abbiano fatto in realtà nulla di male, com’è chiaro dal racconto. Quello che però vorrei provare a sottolineare è un’altra cosa, cioè un certo atteggiamento che spesso si ritrova in chi, nato e cresciuto in pianura arriva quassù. Non è il problema di un accento sbagliato, naturalmente. Né, come spesso fin troppo si sottolinea, dell’attrezzatura inadeguata o questione simili. Il punto è l’ottica, come dire, colonizzatrice attraverso cui il più delle volte avviene quest’approccio. (D’altronde i territori montani sono sempre più visti e dunque trattati come delle riserve, si è detto all’inizio; quindi in realtà non dovrebbe stupire.)
È colonizzatrice nel senso più ampio, cioè quello di una maggioranza che impone la propria visione del mondo e il proprio stile di vita a una minoranza ritenuta per qualche ragione subalterna. È colonizzatrice perché pretende di portare regole che vigono altrove – in pianura, in questo caso – in un luogo con caratteristiche e specificità del tutto diverse, senza mai o quasi darsi la pena prima di conoscerle e poi di rispettarle. È colonizzatrice perché tende ad appiattire tutto su un unico orizzonte possibile, quello dominante, a fagocitare ogni nuovo ingrediente dentro un unico immenso calderone in cui i sapori si diluiscono fino a non sapere più di niente. Se si va in montagna come si va a Jesolo, a Riccione o ad Ibiza, con le stesse aspettative e pretese, allora la montagna non esiste più. Di nuovo, non ce l’ho con quei tre ragazzi nello specifico, vorrei fosse chiaro. Hanno solo avuto la sfortuna di essere lo spunto per questo discorso molto più ampio (e controverso, e criticabile). Un discorso le cui criticità e controversie derivano dal fatto che viene da qualcuno che è nato e cresciuto in questa piccola strana provincia, l’unica totalmente montuosa di una regione altrimenti pianeggiante, l’unica poco (e sempre meno) abitata di una regione altrimenti densissima di popolazione, l’unica abbastanza povera di una regione altrimenti ricca e a tratti ricchissima.
Sto quindi dicendo che solo noi, nati e cresciuti sotto la NGM, abbiamo diritto a frequentarla, essendo noi i soli depositari del sapere antico necessario ad officiare correttamente tutti i riti previsti dalla liturgia alpino-dolomitica? No, naturalmente. No. Anche perché io posso essere di casa qui, ma sono già forestiero a dieci, venti chilometri di distanza, quando cioè mi avvicino alla GM di qualcun’altro, magari anch’io sbagliandone l’accento. Anche perché mi ricorderò sempre un sabato mattina, tetro e piovosissimo, di fine Ottobre, in cui stavo bevendo il caffè dentro il bivacco nel mio posto preferito al mondo (non a caso giusto dietro la NGM) in cui avevo deciso di passare due settimane, e insomma dentro quella mattina infausta in cui il mio piano era soltanto di starmene seduto affianco al fuoco a leggere e bere thè e caffè, a un certo punto ho sentito dei rumori fuori da bivacco, sono uscito e ho visto una persona, un uomo, che al riparo della tettoia si era tolto la giacca fradicia e si stava asciugando il resto, fradicio altrettanto, in qualche modo.
L’ho fatto entrare e mi ha raccontato che era partito la mattina prestissimo da una città di pianura, aveva fatto due ore di macchina sotto il diluvio e poi due e mezza a piedi, sempre da solo, sempre sotto quel nubifragio sempre più battente (ancora non lo sapevamo, ma quel nubifragio avrebbe continuato a peggiorare fino a deflagrare tutta la sua potenza appena 48 ore dopo, in quella che avremmo poi ricordato come Tempesta Vaia) soltanto per passare un po’ di tempo lassù, in quel luogo che gli piaceva tanto. E altrettante ore bagnate avrebbe fatto per tornare a casa. E io niente, non ho potuto che ammirarlo, pensando a quanto si debba amare la montagna per smazzarsi tutta quella strada in quelle condizioni così infelici, e sentirmi piccolo e immeritevole.
Del fatto che la montagna non sia un luogo esclusivo accessibile soltanto a qualche sedicente élite ne ha parlato molto bene Federico Sordini – che non a caso si definisce “montanaro DOC (Di Origine Cittadina)” – in questo articolo, in cui denuncia la spocchia con cui una supposta “Comunità degli amanti della Montagna” critica Carlo Budel, il rifugista di Capanna Punta Penia sulla Marmolada. “Cosa ci fa un operaio nel punto più alto delle Dolomiti? Come fa a gestire un rifugio così difficile una persona così inesperta, appassionata di macchine da corsa? Una persona che non fa l’8b, che non ha aperto vie di roccia e non è un provetto sci alpinista, che non è nemmeno del soccorso alpino?”. Qualcuno, cioè, che non corrisponde ai canoni di “disciplina ed austerità, privazioni e sofferenza, autocontrollo e coraggio, sfida e limite. Insomma, quel trito ottocentesco che si trova in molti blog di montagna ed è caro alla letteratura contemporanea lombardo veneta, roba un po’ patriarcale che ammicca ad un pensiero romantico di destra.”.
D’accordo dalla prima all’ultima parola, personalmente. E dunque, come si fa? Forse non si fa, forse non c’è risposta e basta. O forse basterebbe rispettare tutti una piccola e semplice accortezza, una qualità che proprio la montagna (tutte le montagne, non solo la NGM) aiuta o dovrebbe aiutare ad allenare, molto prima dei muscoli e dell’apparato cardio-circolatorio. Una virtù capace di disinnescare in un colpo solo sia l’ottica colonizzatrice che il conservatorismo sacerdotale. Qualcosa che Sordini cita giusto alla fine del suo articolo: “una dote molto rara negli uomini… l’umiltà.”.
[7] Leggenda familiare vuole che tra gli ardimentosi che portarono lassù la prima croce, sul finire degli anni ‘40, ci fosse anche nostro nonno materno. Quello che è certo è che quella è stata la prima e unica volta in cui il sopracitato progenitore ha messo piede lassù, pur avendo vissuto sotto la NGM non meno di 91 anni. Misteri della vita.
[8] Vedi nota n° 7.
Sono di parte, conosco i soggetti, ma non credo di essere ingiusta nel dire che è un testo bellissimo ed emozionante. Quando, leggendo, i soggetti descritti si materializzano, significa che lo scrittore ha fatto goal. Bravo Fabio.
Questo pezzo, come altri dell’autore, contengono una magia che per una frazione di secondo ti porta in cima alla montagna con i protagonisti a godere della stessa meraviglia.
Un respiro di aria fresca in una giornata qualunque.
Complimenti… Sono tornato in uno dei miei posti preferiti… Grazie
Tranquillo, non stai invecchiando!
Ho letto tutto in un fiato,che dire,emozionante…Scritto davvero col cuore.
Sicuramente aspetteremo altri racconti da te Fabio,le nostre montagne sono uniche ,in tutto !
Molte grazie
Un efficace rimedio, un cerotto resistente, uno sciroppo al miele e erbe alpine questo tuo racconto Fabio, fratello acquisito se posso permettermi, per una expat alle prese con la nostalgia di casa, o con il “mal du pays” come lo chiamano qui! Grazie.
Chi lo sa, magari la prossima volta mi aggancio a voi… per un altro battesimo della NGM, visto che questo check manca anche sulla mia lista di vita.