nel tratto di strada che dalle Grange conduce al fondo valle, proprio quando il tepore dell’auto stava per riuscire ad intaccare quella crosta di gelo che il vento delle creste mi aveva incollato addosso, decisi di indugiare in quello stato di compiaciuto benessere che sempre segue le escursioni più impegnative, fermandomi per un buon caffè caldo alla Cantina delle Alpi.
Lasciata l’auto fuori dal villaggio, avvicinandomi al locale mi sentii rassicurato nello scorgere, dall’esterno della finestra, tre uomini seduti attorno ad un mezzo di rosso e il barista occupato a lucidare un bicchiere.
Mentre alle mie spalle il giorno cedeva il passo alla sera, entrai nella luce calda del locale:
«Buona sera!»
«Buona sera!» rispose il barista.
Dopo un attimo di silenzio, necessario ai tre amici per valutare quanto ingombrante potesse essere la presenza dell’ultimo arrivato, non appena ripresero la loro discussione io, preso posto davanti al bancone, ordinai il mio caffè.
«Da dove arrivi a quest’ora?»
«Sono stato al Galambra»
«Una bella giornata: hai fatto bene ad approfittarne. Beato te, che puoi prenderti un po’ di tempo ogni tanto. Ti ho già visto altre volte salire verso le Grange, sai? Guarda me: vivo qui, tra le montagne eppure non posso godermele!»
Uno degli uomini, direi il più anziano, con sguardo sereno si rivolse a me:
«Com’è il ghiacciaio lassù? E il lago; c’è ancora il lago?»
«Si, il lago c’è ancora, ma del ghiacciaio non resta che una corona di pietre.»
Un secondo uomo, che presto si sarebbe rivelato essere fratello del primo, intervenne rivolgendogli la parola:
«Ricordi il nonno che ci raccontava di quando andavano a cavare il ghiaccio e poi con la lesa lo menava giù sino alla stazione ferroviaria?»
«Già» rispose, «serviva per i primi bar di Torino e per conservare quegli alimenti che proprio grazie al treno iniziavano a circolare anche quassù! Il nonno raccontava che allora il ghiacciaio appariva incontenibile: si espandeva tutt’attorno infilandosi nei canalini, sbordando dai colletti. Come a Passou du Glà! Chi l’avrebbe detto che in meno di cento anni sarebbe sparito tutto?»
L’uomo dallo sguardo sereno, fissando il rosso nel bicchiere parve vedervi affiorare nitido un ricordo che gli sembrò importante raccontare:
«Beh… Barba Celestin buon’anima, qualche dubbio ce l’aveva già. Diceva che il genepy cresceva sempre più in alto. Le pernici, che sino a pochi anni prima venivano cacciate alla Chabriere o alla Casses Blanche, dovevano essere cercate oltre le Monache, ai piedi del ghiacciaio.»
Il terzo uomo, quello dall’aspetto più severo aggiunse:
«Più che altro a Celestino giravano le palle perché doveva spingersi sempre più in alto per trovare un nevaio in cui nascondere e mantenere i camosci che prendeva!»
Mentre un sorriso melanconico modellava il volto di tutti, il vecchio sdrammatizzò con una battuta:
«Già; gli è andata bene che nel frattempo hanno iniziato a produrre i frizer!»