Sono salito al Regondi per la prima volta nell’estate del 1986, insieme a mio padre e a mia sorella. L’impegno della camminata venne ricompensato dal mondo di meraviglie che ci si dischiuse appena ne aprimmo a fatica la cigolante porta: un forziere dei pirati, la soffitta di cianfrusaglie che non ho mai avuto. Perché un bivacco non è un semplice rifugio, è innanzitutto un azzardo di spazio, un monito di essenzialità: poche cuccette e puzzolenti coperte, un tavolaccio di legno pieghevole, traballanti mensole, tutto studiato per conquistare centimetri e resistere all’ingiuria delle altezze. Un bivacco è un ricovero proletario: veste abiti feriali, è incustodito ma sempre aperto, può subire la triste ventura del figlio diseredato, quando si decide di costruirgli nelle vicinanze un più capiente e moderno rifugio.
Un bivacco è come le tasche di Eta Beta, da cui compaiono per misteriosa evocazione, basta saper cercare, mozziconi di candela e fiammiferi, zollette di zucchero, forchette e cucchiai, penne per scrivere, qualche padella, qualche bicchiere, una bottiglia di vetro, un brandello di libro, un calzettone lercio che occhieggia da sotto il letto, bustine di thè, firme incise sulle panche in legno. Tutto scompagnato e in apparente abbandono: il regno dei topi, il mercatino delle pulci. Pochi moniti tentano di regolamentare la condotta dell’ospite ideale: “riportate i vostri rifiuti a valle”, “vietato fumare”, “ricordatevi di chiudere il bivacco”. Se dietro alla porta è infilata una scopa, è più per tributo alla decenza che per effettiva possibilità di porre ordine al caos. Unico depositario della memoria del luogo, il “Libro del rifugio”.
Qualche volta si tratta di un quaderno o di una vecchia agenda, più spesso è il volumone blu del Club Alpino Italiano, con l’araldico emblema dell’aquila sulla copertina: la lotta con l’alpe, bella come una fede. Al pari di un registro scolastico invita alla catalogazione documentaria, all’asetticità della scheda informativa da compilare puntigliosamente in tutte le sue voci: data di arrivo e di partenza, cognome e nome, società alpinistica di appartenenza, destinazione, itinerario prescelto. Ma non di rado l’impulso a trasgredire, la ricerca di un diversivo per le ore di forzata inattività, una certa maleducazione lo trasformano nel diario di uno studente annoiato: ecco allora comparirvi disegni di bambini, battute sarcastiche sui compagni di gita, apprezzamenti da caserma sul genere femminile compensati da commoventi ricordi di anniversari (“oggi è il nostro ventesimo anniversario di nozze”, “sono risalito qui dopo trent’anni”), proclami sportivi e politici, vere e proprie micce che accendono il fuoco di fila delle risposte di segno opposto. Alla voce “Destinazione” c’è sempre chi scrive “K2” o “Kilimangiaro”, sarà per la maschia consonanza della k.
Se però il bivacco si trova in prossimità delle montagne vere, quelle destinate a pochi eletti, le pagine di solito inibiscono l’irriverenza e diventano un brogliaccio di memorie, un portolano di innegabile utilità. I fogli, che nei luoghi più remoti impiegano magari più di un lustro per essere interamente compilati, ospitano ragguagli sullo stato delle vie e della chiodatura, sulle condizioni metereologiche, su quelle della montagna: un tratto di parete franata, un passaggio su ghiaccio vivo, la minaccia di un crepaccio. Una Bibbia laica, che per me ha sempre rappresentato una lettura irrinunciabile, se possibile da gustare di sera, con filologica perizia, perché dietro il catalogo di date, vie e tempi di salita si intravedono i volti. Ecco allora evocati i nomi di chi mi ha preceduto, i loro pensieri, le impressioni sull’ascensione fatta o interrotta o rimandata, gli aggettivi rutilanti e i punti esclamativi, che dicono di un tempo che per quasi tutti è stato tempo di grazia, manciata di ore destinate nella memoria a sbalzare fuori dalla dimensione dell’ordinario. Calligrafie e lingue diverse, l’emozione di vedere che anche un amico da tempo perso di vista è passato di lì, quella di ritrovare dopo qualche anno la tua firma di allora. Tutti qui per un pezzo di roccia, un lenzuolo di neve, il profilo di una cresta.