C’è una strana quiete adesso, si sentono i fruscii tra l’erba e il cinguettio dei pettirossi. Questo è il regno delle lepri e delle coturnici. Le prime, sfacciatamente orgogliose del proprio mimetismo, rimangono acquattate sul prato fino all’ultimo secondo. Con la magia dell’animale selvatico, diventano una zolla di terra, un ciuffo d’erba secca, un sasso. Poi, un attimo prima di calpestarle, si trasformano di colpo in una saetta dal pelo lucido, che attraversa il prato a grandi salti, le orecchie tese con le punte nere ben in vista.
Le coturnici invece, hanno preso la via della clandestinità. Una volta comuni e abbondanti, le si vedeva spesso transitare sui sentieri. Le madri con i piccoli in fila. E i maschi cantavano a perdifiato sui pinnacoli rocciosi. Ora le coturnici non cantano più. Vittime di una caccia spietata e senza legge, trappolate, sparate, braccate dai cani, questi animali sono diventati invisibili. Ci sono ancora, ma osservarle è davvero difficile. Ora sui pinnacoli c’è solo il vento a narrare di loro. Per quando ancora dobbiamo assistere al saccheggio delle risorse naturali? Vogliamo che le coturnici vadano ad affollare la lista dei fantasmi sulla nostra isola, assieme al lupo, al cervo e a decine di altre specie fatte fuori dalle attività umane?
Un’aquila reale volteggia sopra di noi, unico elemento in moto tra le guglie carbonatiche e un cielo immoto. Con una scivolata si abbassa di quota rapidamente, ci passa di sopra degnandoci appena di uno sguardo.
Forse non tutto è perduto.
Scendere dai monti è palesemente un atto di abbandono. Si voltano le spalle a un’isola di Natura, per varcare un confine fatto di strade e case. Case su case, per chilometri e chilometri. Asfalto e cemento ad allungarsi per il territorio, inglobando siepi, boschi, stagni. Come olio versato, le macchie urbane si allargano, si uniscono tra di loro e confinano la Natura in cima ai monti, unico posto dove gli animali possono ancora vivere dignitosamente. E pensare che agli inizi della civiltà era l’uomo ad essere confinato nel suo villaggio. Varcare le mura del proprio insediamento significava affrontare una Natura sconfinata e selvaggia, di cui non potevano nemmeno intuirsi i confini.
Oggi ad essere sconfinato è rimasto solo il mare. Ti rimane negli occhi, quando scendi da Monte San Calogero. La posizione e la forma di questa cima ti fa sentire sull’albero maestro di un veliero. A poppa Trapani e a prua Messina. Come possiamo risolvere i problemi del mondo, grandi e inspiegabili come mostri marini, se siamo solo una piccola isola nel mare. Che succede dall’altra parte? E come possiamo intervenire noi, se siamo confinati qua, su questa barca che fa acqua da tutte le parti?
Ale mi dà una gomitata. Giusto in tempo, prima che il filo dei miei pensieri si aggrovigliasse. Il sentiero si inoltra nel bosco e io stavo tirando dritto.
Continuiamo la discesa in una fitta lecceta. Addio verde erba, ora il mondo è un gioco di ombre e luci che filtrano dalla chioma. Marrone e oro sula punta dei nostri scarponi. L’aria e umida e odora di muschio e di funghi. C’è una sola nota di colore, in tutto ciò: ai margini del sentiero, seminascosta tra le rocce, una minuscola Scilla silvestre è emersa dalla lettiera. Solo due foglie, di un verde lucido e un mazzetto di fiori di un viola deciso. Così piccola e delicata che fa uno strano effetto trovarla là, in mezzo a quei bestioni dei lecci che la sovrastano, con tronchi grandi come colonne di un tempio. Eppure, non avrebbe potuto essere da nessun’altra parte. Amante dell’ombra e dei terreni soffici, questa timida bulbosa fiorisce proprio nei boschi mediterranei. C’è solo una cosa che stona: il periodo. Questa pianta, infatti si trova in fiore all’inizio della primavera, quando i rigori di febbraio lasciano il posto al primo incerto sole di marzo. Ora è dicembre! Che è successo? Forse questo inverno mite l’ha indotta a fiorire con tre mesi d’anticipo, in una stagione completamente sbagliata. Oppure il cambiamento climatico anticipa di netto le fioriture, soprattutto di specie molto sensibili come quelle del sottobosco.