Ci sono istanti che racchiudono in sé l’eternità. Attimi in cui quell’entità sfuggente che è il tempo pare fermarsi. Momenti in cui quel fiume incessante che è la vita si arresta.
E allora l’Assoluto si manifesta. Accadde tutto lo scorso settembre, quando, aprendo il portone di casa, trovai due occhi color ghiaccio ad aspettarmi. Occhi che si nascondevano timidamente dietro a qualche ciuffo di capelli color biondo cenere. Il viso era calmo e non tradiva alcuna forma di espressione. Mi colpì subito la purezza e la trasparenza di quel volto che, seppur apparentemente inespressivo, aveva la capacità di comunicare attraverso l’intensità dello sguardo. Uno sguardo limpido e puro. Fu allora che lo battezzai “il Piccolo Principe”.
Il Piccolo Principe e io ci conoscemmo quell’estate tra i sentieri della Val di Fassa. Lui, ragazzo di montagna, io, una ragazzina di città, che amava le montagne e le portava nel cuore. Quell’estate percorremmo chilometri insieme, attraversando forcelle, rincorrendoci tra ghiaioni, perdendoci tra le guglie di quelle magiche cattedrali di Dolomia. Quel soleggiato pomeriggio di settembre partimmo ancora una volta insieme. Ci incamminammo con i nostri zaini carichi e pesanti lungo una breve salita che, partendo dal piccolo centro del paesino di Alba di Canazei, conduceva a una graziosa chiesetta gialla. Poco più su, sulla sinistra, trovammo, opportunamente segnalato, l’inizio del sentiero, che ci avrebbe condotto fino alla Val de Contrin. Dopo qualche centinaio di metri, seguendo il sentiero che piegava a sinistra, ci inoltrammo in un bosco fitto. Subito fummo accolti da un’atmosfera di pace. Intorno a noi una morbida coperta di muschio verde rivestiva le rocce e si arrampicava lungo le cortecce di quei silenziosi guardiani del bosco, che osservavano con curiosità quei due giovani passare. Pensai alla bellezza di quel silenzio.
Un silenzio carico di pace, spezzato ogni tanto solo da un paio di zampette che correvano agilmente lungo quei rami. Rami che tessevano una fitta tela nel cielo, lasciando filtrare qua e là minuscole particelle di luce. Con passo ovattato, quasi in punta di piedi, per timore di spezzare e infrangere la magia di quella quiete, attraversammo il bosco in silenzio. Da lontano si udiva la voce del torrente, che gorgogliava allegro. Un custode inaffidabile quel torrente, che ogni giorno si dilettava a raccontare a tutta la valle i segreti e le chiacchiere degli abitanti del bosco. Proseguimmo fino ad arrivare alla Baita Locia, una baitina vecchia e in legno, incorniciata da un fitto bosco. Qualsiasi frequentatore di quel sentiero, imbattendosi in questa, non potrà fare a meno di fermarsi ad ammirare le singolari imposte di quella piccola costruzione: imposte dal colore verde vivo, sopra le quali spiccano, intagliati, grandi cuori rossi.
Superammo la baita, lasciando alle nostre spalle un meraviglioso scorcio delle dita frastagliate del Sassolungo. Fummo subito accolti da pascoli erbosi, che si estendevano liberi, delimitati solo dai margini del bosco. Parlavamo poco, ma camminavamo molto e con andatura veloce. Il Piccolo Principe dettava il passo e le mie gambe si lasciavano guidare da quel ritmo incalzante. Sembrava un cerbiatto lui, con il suo incedere agile, rapido, leggero, abituato com’era a correre sui sentieri di montagna. In poco tempo arrivammo alla Baita Cianci, dove il mio cuore mi conduceva ogni estate, guidato dal richiamo dello strudel di mele o della crostata, preparati con cura e con amore dal gestore della baita. Quel pomeriggio di settembre però, non c’era tempo per fermarsi a godere dei dolci piaceri del palato. La vita aveva in serbo per me qualcosa dalle note ancora più sublimi. Così, a malincuore, dopo aver messo a tacere quel leggero languorino che brontolava nel mio stomaco, passai oltre, seguendo il mio compagno di avventure lungo una breve salita, al termine della quale arrivammo al Rifugio Contrin.
Ciao bel racconto