Vento, polvere e luce che abbacina di ocra, di rosso scarlatto, di giallo, di grigio, di indaco.
La bizzarria geologica esplode in ogni forma di rocce e arenarie attorcigliate in pinnacoli funambolici e fantasmagorici, in screpolature, corrugamenti e crepe, in spelonche ed antri oscuri appesi a pareti strapiombanti, modellate e scolpite da ombre nette e taglienti lame di luce. Tutto questo ritrovo intatto alla memoria come il garrire di tarchòg e lung-ta, i cavallini del vento, stampati su bandierine multicolori di carta, che incessantemente portano preghiere e doni agli dei. Come il silenzio dei chorten a confondersi nei vasti orizzonti di arenaria, simulacri di una fede che ritorna polvere. Come i terrazzamenti a orzo, grano saraceno e patate che d’improvviso risplendono al vento luminoso in macchie di verde smeraldo, tra pietraie di rocce preistoriche.
Tutto questo ritrovo intatto, oggi come nel lontano 1998, epoca del mio primo viaggio in Mustang.
Eppure… Eppure, mi sconcerta questo vuoto intorno, questa nudità del paesaggio che non è la sua vastità raschiata dal vento, erosa dagli inverni, screpolata da soli infuocati. No, è, piuttosto, un vuoto di storia, di tradizioni, di vitalità antica… A ben vedere, sono scomparse le carovane del sale, che transumavano dal Tibet all’India per questa lunga e vasta via carovaniera che taglia l’Himalaya lungo il fluire del Kali Gandaki.
Non esistono più, le carovane. Sono estinte, definitivamente annientate e sostituite dal fluire di camion e jeep che salgono e scendono per la medesima via, oggi la strada che collega Lo Manthang al presente. È questo che più mi ha colpito, più ancora della presenza dei veicoli a motore, dei pali della luce elettrica che esili fili sostengono impavidi alle ingiurie del clima, più delle insegne pubblicitarie che qua e là propongono Illy Caffè e Lavazza, scarabocchiate su massi, su travi di legno insieme al reclamizzare hot shower e improbabili wifi in ogni lodge e stamberga che offre ospitalità agli escursionisti.
Sì, più di tutto mi ha colpito il silenzio delle carovane nell’armonica composizione del paesaggio, l’assenza di quel tratto sottile di quadrupedi e uomini a graffiare la tavola grigia del letto del fiume in uno zigzagare sonante di pendagli, schiocchi, sbuffi che al transitare s’ingrandiva e rimpiccioliva. Eppure, oggi come allora, l’avanzare dell’inverno cancella d’un colpo il progredire della strada verso il futuro ancora incerto, ancora lontano, nell’incombere di smottamenti e frane per le piogge e la neve, per il desertificarsi dei villaggi abbandonati ad anziani e a qualche giovane pastore che qui resiste nella custodia degli armenti, mentre la popolazione scende al più mite clima di Pokhara, ad ogni inverno, appunto.
Il Mustang è un luogo temporaneo, si direbbe, vivo da primavera inoltrata a ottobre, in quieto letargo per il resto dell’anno. Un libro di storia geologica che sempre si disfa e si ricrea alle forze possenti che sottendono la crosta terrestre. Per molti versi, un luogo magico, nel quale aleggiano domande ancora senza risposta e dove vagano inquieti gli spiriti che Pandmasabhava, il saggio guru, soggiogò al suo volere. È tutto qui il fascino, in quest’aria, in questa luce, in queste pietre che nelle tue mani riflettono magie di colori, in queste mura di costruzioni arcaiche e sacre, scolpite dei segni di una fede che nei simboli evoca la trascendenza, che nella polvere riverbera voci di fantasmi, le grida di guerra nelle cruente battaglie con le quali il mitico re Ama Pal unificò, nella notte dei tempi, quel che oggi è il decaduto Regno di Lo.
Sì, decaduto, perché nell’avvicendarsi della neonata Repubblica del Nepal al millenario Regno dei Malla, nel 2014, anche il Regno di Lo con la sua capitale Lo Manthang è stato declassato a Distretto e il suo Re è ora un vecchio signore che ha definitivamente abbandonato il suo palazzo, oggi in rovina, dopo il recente terremoto che ha devastato la valle di Kathmandu, il Langtang, e altri territori del paese. Si è perduta, così, la magia evocativa che faceva di Lo Manthang un luogo sospeso tra mito e fantasie e che, alla realtà dell’esplorazione, aggiungeva sorprese a sorprese. Oggi è un luogo pur sempre affascinante, ma inevitabilmente corrotto da scaglie di modernizzazione, infisse tra mura sberciate, nuove costruzioni indefinibili, progetti di urbanizzazione approssimativa afflitti dalla drammatica carenza di fondi in un paese tra i più poveri del pianeta.