Reportage

Voltarsi indietro per andare avanti

Gli Adventure Days come li ha visti e vissuti Luca Orsini: "Con l’occhio scevro di chi vive la montagna a distanza di sicurezza".

Testo di Luca Orsini, foto Adventure Days  / Roma

23/05/2019
5 min

Dlin dlon. Ad un breve segnale acustico segue un annuncio: “Attenzione, il treno alta velocità 8939 proveniente da Trento e diretto a Salerno è in arrivo al binario 2. Allontanarsi dalla linea gialla”.
Il mezzo che mi riporterà alla civiltà, nel bel mezzo della mia confort zone, è finalmente arrivato. Sancisce il termine della mia esperienza agli Adventure Days.

Cosa ci faceva un ragazzo di città come me ad un ritrovo di scalatori, bikers, runners ed atleti di ogni tipo?
Saranno stati sicuramente in molti a porsi questa domanda, ed alcuni di loro hanno persino avuto la faccia tosta di chiedermelo: «Sono tre giorni che ti vedo bere birra ed osservare, con la faccia spaesata di chi non è al suo posto! Che sport fai? Che ci fai qui?». Queste le domande più ricorrenti. Sono un viaggiatore, rispondo io, mi piace il trekking e l’avventura, ma la cosa più atletica che faccio è destreggiarmi nel traffico di Roma del Grande Raccordo Anulare.
Ero lì come inviato di altitudini.it, in seguito all’inaspettato premio ricevuto al Blogger Contest.2018. Il mio compito? Quello di raccontare la manifestazione con l’occhio scevro di chi vive la montagna a distanza di sicurezza.
È qui ed ora che, sulla banchina della Stazione di Rovereto, mi volto indietro scorgendo ancora le cime innevate che dominano l’alta riva del Garda e che ora pervadono i miei pensieri.
A fare da cornice al festival il contesto bucolico di Canale di Tenno: un borgo dimenticato dagli uomini, ma non certo da Dio, che gli ha recato in dono splendidi boschi incontaminati e due specchi d’acqua sulla quale riflettere la propria bellezza all’ombra di alture che celano l’orizzonte.

Il treno si mette in moto e lo stridere delle ruote sulle rotaie mi riporta alla mente il rumore sordo delle lamine che disegnano sulla neve profonde cicatrici. Testimonianza indelebile del passaggio di uomini straordinari.
No, nessun riferimento a Thor, Iron Man o Wonder Woman, senza voler offendere le centinaia di milioni di spettatori che stanno affollando le sale in questi giorni. Parlo di uomini e donne comuni che hanno deciso di compiere imprese straordinarie ispirando migliaia di individui troppo materiali da preferire fantasiose avventure sul grande schermo a quelle da vivere nel reale.
Volgo lo sguardo al di là del finestrino mentre il treno scorre inesorabile lungo binari ben tracciati. Quei binari che esploratori del ripido come Emilio Previtali, Tommaso Cardelli e Francesco Tremolada, abbattono da una vita deragliando nell’ignoto, proprio quando si pensava fosse oramai tutto noto.

Emilio e la superficialità della spettacolarizzazione
Voltarsi indietro per andare avanti. È quanto mi ha trasmesso un sentimento che muta in grande storia. Quella di Emilio Previtali che pone l’attenzione sulla superficialità della spettacolarizzazione mediatica della discesa estrema. Emilio fa riferimento preciso ad una rovinosa caduta che lo ha coinvolto compromettendo permanentemente la mobilità del suo braccio destro. Raccontando questo episodio, quasi con disgusto, si immedesima in un internauta che, terminati i 10 secondi del video, vira immediatamente al successivo senza soffermarsi minimamente sul valore di quegli istanti.
L’intera vita di Emilio è racchiusa in quel breve arco di tempo. Esiste un prima ed un dopo: la rinuncia ad arrampicare come prima, il cambiamento come uomo, come padre e come atleta.
Ricorda, quasi con malinconia, come prima dell’avvento dei social e di internet, le avventure dei più grandi potevano solo essere vissute tra le righe di un libro. Non uso il termine “vissute” a caso.
Una discesa di pochi secondi poteva riempire pagine e pagine di un racconto ed il lettore veniva ispirato non dalla spettacolarità delle evoluzioni, ma dal sentimento che l’autore riportava su carta. Il libro tracimava emozioni da ogni suo margine. Voglio vivere quell’emozione lì anche io e non semplicemente replicare una buona tecnica di discesa.

Cosa ci fa un ragazzo di città come me ad un ritrovo di scalatori, bikers, runners ed atleti di ogni tipo?
Emilio Previtali
Jeremy Collins

La filosofia di Whymper un vero stile di vita per Jeremy
Il treno intanto singhiozza sulle rotaie e mi riporta bruscamente al presente. Sulla sinistra si aprono scorci degni di un quadro di Luigi Frappi. Faccio per prendere la macchina fotografica, quando esito per un istante. È’ la sagoma di Edward Whymper ad apparirmi chiara nella mente.
Voltarsi indietro per andare avanti. Era la seconda metà dell’Ottocento quando questo grande alpinista inglese tracciava nuove linee di scalata sulle pareti più impervie. Allora le macchine fotografiche erano ancora una chimera e l’unico modo per riportarsi dietro alcune immagini ricordo delle proprie imprese era illustrarle.
Fu così che Whymper lasciò testimonianze delle sue spedizioni attraverso vere e proprie opere d’arte. Le sue illustrazioni sono un mix di immagini, sentimenti e poesia che restituiscono un cocktail di emozioni che va ben oltre la statica fotografia.
Nasce da questa chiara ispirazione la figura di Jeremy Collins. Regista, scalatore, pittore, poeta e chiedo scusa se dimentico qualcosa, ha fatto della filosofia di Whymper un vero stile di vita.
C’è chi scatta foto, chi registra video e chi scrive diari. Lui ha deciso di viaggiare sempre munito di taccuino e di riportare in disegno ogni suo pensiero, ogni immagine, ogni emozione vissuta, creando dei veri e propri diari di viaggio illustrati. Osservando le sue opere ed ascoltando i suoi racconti le immagini è come se venissero pervase da linfa vitale.
Quello che mi ha maggiormente colpito è come tutto questo non sfoci nell’autocelebrazione delle sue grandi capacità. Le sue illustrazioni sono doni, ringraziamenti a ciò che ha visto o ha vissuto. È sulla riva dello splendido lago di Tenno che, dinnanzi a noi, srotola (letteralmente) i lavori di una vita, della sua vita. Anzi… la sua vita.
Il tutto, noncurante del diluvio che si abbatteva sulle nostre teste. In lui non c’era alcun timore di macchiare i suoi disegni, li ha marchiati a fuoco vivo nei suoi ricordi. Ha solo voglia di raccontarsi.
Perso nell’affiorare dei miei pensieri, quel panorama che desideravo così tanto immortalare era oramai alle spalle. Non avrò alcuna foto a ricordarlo, ma avrò un’immagine ben chiara nella testa che nessuna improvvisa pioggia o accidentale formattazione potrà mai cancellare.

E sulla riva del lago di Tenno, dinnanzi a noi Jeremy, srotola (letteralmente) i lavori di una vita, della sua vita.
 

Il cibo selvatico di Valeria
Mentre mille parole scorrono a fiumi sui fogli bianchi di questo block-notes, il treno si addentra nel cuore degli Appennini. Mi guardo nuovamente attorno. Il freddo maggio non ha intaccato la rigogliosa natura che mi circonda.
Tra le vallate intravedo figure accovacciate sul verde prato. Forse è solo un trip nella mia testa, ma non è questo l’importante. Mi riaffiora alla mente la lezione di foraging tenuta da Valeria Margherita Mosca, una giovane donna che ha fatto della sua passione il suo lavoro.
Voltarsi indietro per andare avanti. È ancora questo il trait d’union dei miei ricordi.
L’uomo è nato raccoglitore, ci racconta. Bisogna spingersi in un arco temporale che precede la Rivoluzione Industriale, prima del XIX secolo quindi. I prodotti coltivati erano destinati esclusivamente alla vendita ed il nostro sostentamento era affidato a quanto la natura ci forniva spontaneamente.
Oggi le chiamiamo erbacce ma, un po’ la crisi economica, un po’ l’irrefrenabile moda di sperimentazione culinaria, ha riportato in auge l’attenzione nei confronti del cibo selvatico. Mille regole disciplinano questa secolare attività, a salvaguardia della salute delle persone ed a salvaguardia della natura stessa. Raccogliere in ambienti incontaminati, in quantità ben precise e con modalità accurate. Questa cotta, questa cruda, l’altra essiccata. Quella sa di porcino, quella è deliziosa in un risotto, l’altra per dei biscotti.
Per chi vive in una città tanto inquinata come Roma, vedere Valeria districarsi nel bel mezzo della macchia come farei io tra gli scaffali di un supermercato mi fa sorridere. Non avrei mai immaginato che la stragrande maggioranza delle varietà presenti in natura fosse non solo commestibile, ma anche deliziosa. Sia chiaro, non ci si improvvisa a questa attività. La natura sa essere infida e affabulatrice e molte sono le specie tossiche se non addirittura mortali per l’uomo.
Approcciarsi al foraging gradualmente è sicuramente la migliore opzione e devo dire che, in un periodo storico come questo, guardare al passato per parlare di cibo sostenibile è sicuramente il miglior modo per andare avanti.

Guardare al passato per parlare di cibo sostenibile è sicuramente il miglior modo per andare avanti.
 
Valeria Margherita Mosca

Questi tre giorni hanno cambiato anche me
Dlin dlon. Ad un nuovo segnale acustico segue un nuovo annuncio: “Attenzione, treno in arrivo a Stazione Roma Termini”.
Le tre ore e mezza di viaggio sono volate, così come i miei pensieri si sono rincorsi inesorabili in una staffetta di parole ed emozioni.

Esco dalla stazione.
Folla, traffico, rumore.
Io, spaesato a guardarmi intorno.
Nessuna cima innevata, solo antenne in cima a palazzi.
Nessun odore di timo selvatico, solo odore di asfalto fresco.
Nessuno specchio d’acqua, solo il mio riflesso sulle vetrine dei negozi di via Giolitti.
Ora è qui che non mi sento più al mio posto.
Questi tre giorni hanno cambiato anche me?
Mi volto ancora indietro, per l’ultima volta, per andare di nuovo avanti.

Luca Orsini (con la giacca arancio a dx) è uno dei due autori del Blogger Contest.2018 che ha partecipato agli Adventure Days (l’altro autore, Gabriele Gallo, per un imprevisto all’ultimo minuto non ha potuto partecipare). Nelle veste di “inviato speciale” Luca aveva il compito di raccontare ai lettori di altitudini l’edizione 2019 dell’Adventure Days che si è svolta a Canale di Tenno (Garda Trentino) dal 10 al 12 maggio 2019.

Luca Orsini

Luca Orsini

Vivo a Roma, ed amo la mia città. Non viaggio per vivere, ma vivo per viaggiare. Sono una persona normale, un semplice impiegato ultra trentenne e cerco ogni anno di sfruttare al massimo le poche ferie per alimentare la mia passione. Viaggiatore seriale? Inguaribile sognatore? Sono sicuramente alcuni degli epiteti che più mi rappresentano.


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