Dlin dlon. Ad un breve segnale acustico segue un annuncio: “Attenzione, il treno alta velocità 8939 proveniente da Trento e diretto a Salerno è in arrivo al binario 2. Allontanarsi dalla linea gialla”.
Il mezzo che mi riporterà alla civiltà, nel bel mezzo della mia confort zone, è finalmente arrivato. Sancisce il termine della mia esperienza agli Adventure Days.
Cosa ci faceva un ragazzo di città come me ad un ritrovo di scalatori, bikers, runners ed atleti di ogni tipo?
Saranno stati sicuramente in molti a porsi questa domanda, ed alcuni di loro hanno persino avuto la faccia tosta di chiedermelo: «Sono tre giorni che ti vedo bere birra ed osservare, con la faccia spaesata di chi non è al suo posto! Che sport fai? Che ci fai qui?». Queste le domande più ricorrenti. Sono un viaggiatore, rispondo io, mi piace il trekking e l’avventura, ma la cosa più atletica che faccio è destreggiarmi nel traffico di Roma del Grande Raccordo Anulare.
Ero lì come inviato di altitudini.it, in seguito all’inaspettato premio ricevuto al Blogger Contest.2018. Il mio compito? Quello di raccontare la manifestazione con l’occhio scevro di chi vive la montagna a distanza di sicurezza.
È qui ed ora che, sulla banchina della Stazione di Rovereto, mi volto indietro scorgendo ancora le cime innevate che dominano l’alta riva del Garda e che ora pervadono i miei pensieri.
A fare da cornice al festival il contesto bucolico di Canale di Tenno: un borgo dimenticato dagli uomini, ma non certo da Dio, che gli ha recato in dono splendidi boschi incontaminati e due specchi d’acqua sulla quale riflettere la propria bellezza all’ombra di alture che celano l’orizzonte.
Il treno si mette in moto e lo stridere delle ruote sulle rotaie mi riporta alla mente il rumore sordo delle lamine che disegnano sulla neve profonde cicatrici. Testimonianza indelebile del passaggio di uomini straordinari.
No, nessun riferimento a Thor, Iron Man o Wonder Woman, senza voler offendere le centinaia di milioni di spettatori che stanno affollando le sale in questi giorni. Parlo di uomini e donne comuni che hanno deciso di compiere imprese straordinarie ispirando migliaia di individui troppo materiali da preferire fantasiose avventure sul grande schermo a quelle da vivere nel reale.
Volgo lo sguardo al di là del finestrino mentre il treno scorre inesorabile lungo binari ben tracciati. Quei binari che esploratori del ripido come Emilio Previtali, Tommaso Cardelli e Francesco Tremolada, abbattono da una vita deragliando nell’ignoto, proprio quando si pensava fosse oramai tutto noto.
Emilio e la superficialità della spettacolarizzazione
Voltarsi indietro per andare avanti. È quanto mi ha trasmesso un sentimento che muta in grande storia. Quella di Emilio Previtali che pone l’attenzione sulla superficialità della spettacolarizzazione mediatica della discesa estrema. Emilio fa riferimento preciso ad una rovinosa caduta che lo ha coinvolto compromettendo permanentemente la mobilità del suo braccio destro. Raccontando questo episodio, quasi con disgusto, si immedesima in un internauta che, terminati i 10 secondi del video, vira immediatamente al successivo senza soffermarsi minimamente sul valore di quegli istanti.
L’intera vita di Emilio è racchiusa in quel breve arco di tempo. Esiste un prima ed un dopo: la rinuncia ad arrampicare come prima, il cambiamento come uomo, come padre e come atleta.
Ricorda, quasi con malinconia, come prima dell’avvento dei social e di internet, le avventure dei più grandi potevano solo essere vissute tra le righe di un libro. Non uso il termine “vissute” a caso.
Una discesa di pochi secondi poteva riempire pagine e pagine di un racconto ed il lettore veniva ispirato non dalla spettacolarità delle evoluzioni, ma dal sentimento che l’autore riportava su carta. Il libro tracimava emozioni da ogni suo margine. Voglio vivere quell’emozione lì anche io e non semplicemente replicare una buona tecnica di discesa.