≈ Teddy, quanto conta per te leggere il racconto delle esperienze altrui? Quanto ti motiva a fare quello che fai, in montagna e nella vita?
Se parliamo di racconti, almeno quelli che pubblichiamo su altitudini, è bene fare una premessa e distinzione tra i racconti “dal vero” e i racconti “di finzione”.
Nei racconti “dal vero”, quando l’autore non si limita alla semplice esposizione dei fatti realmente accaduti, ma la cronaca della sua esperienza viene utilizzata per fini letterari (per offrire ai lettori un contesto reale di emozioni, sensazioni, stimoli, colori e suggestioni), si entra nella sfera dell’empatia, cioè la capacità di “mettersi nei panni dell’altro” ed è a questo punto che il racconto diventa fonte d’ispirazione, ma anche di apprendimento, attraverso le esperienze degli altri che diventano nostre, un collante sociale che unisce le persone.
Nel racconto “di finzione” invece il meccanismo di ispirazione e apprendimento è ancora più potente perché, paradossalmente, ci permette di vivere per davvero le storie che leggiamo; infatti, ci spinge ad andare oltre il vero. “La verità è più strana della finzione, ma è perché la finzione è costretta ad attenersi al possibile; la verità no.” (da una citazione di Mark Twain).
In un caso o nell’altro, leggere un bel racconto mi porta a trovare delle conferme ai miei pensieri, più che cercare in quelle righe nuove idee o esperienze da ripetere. E così accade che quando poso il libro sul comodino o chiudo il rettangolo luminoso che lo contiene, è forte il desiderio di uscire là fuori nella natura. Allora cammino, ritrovo gli umili sentieri, esploro i luoghi fuori traccia a me cari con una nuova consapevolezza: vedo le cose che ho sempre visto ma con occhi nuovi, colgo nuovi spunti che nascono dentro di me e da lì, semmai, nascono le nuove idee.
≈ Oggi per molti la motivazione si confonde con l’emulazione. Si vede una storia su Instagram e si pensa “lo posso / voglio fare anche io!”. Cosa ne pensi?
È possibile che processi di emulazione, riguardo alcune attività sportive in montagna (come alpinismo, sci alpinismo o sci fuoripista) indotte da foto e video spettacolari nei social media, possano portare qualcuno a cacciarsi in qualche guaio. Tuttavia, la maggior parte delle persone seguono le gesta di questi “atleti dell’estremo” con la curiosità di vedere cosa combinano, più che per emularli realmente. Comunque, quasi mai queste storie social sono lo stimolo per una sana motivazione alla pratica sportiva, spesso assomigliano più a delle mode. Quello che noto invece è che l’attività in montagna e le destinazioni di un singolo sono spesso influenzate dal comportamento sociale dei gruppi di amici sui social network: una specie di contagio comportamentale che non ha nulla a che fare con la motivazione e nemmeno con l’emulazione.
Una ricerca del Massachusetts Institute of Technology sulle comunità di runner presenti nei social network, ha addirittura misurato che in media, per ogni chilometro corso in più dagli “amici dei social” nell’arco di una giornata, un utente tende a correre 300 metri in più, indipendentemente dal periodo dell’anno, dal meteo o dalla zona di residenza. L’effetto, infine, sarebbe più forte quando è un amico solitamente poco sportivo a decidere per un allenamento supplementare. Perché nessuno sembra disposto ad accettare che un amico sedentario si eserciti di più. Qui vedo un problema: sempre più persone sono prigioniere dei social network e delle scelte altrui.
≈ In molti dei racconti premiati da Altitudini emerge una profondità di emozioni interiori che stupisce e che non si trova più nel voyerismo sfrenato e superficiale dei social media. I blogger hanno ancora un ruolo in un modo che sembra dominato dagli influencer? Le parole trovano il loro spazio nel mondo dell’immagine?
Direi di sì. Le parole continueranno a trovare il loro spazio nel mondo dell’immagine a patto che si abbia qualcosa da dire. Celebre è la frase di Francis Scott Fitzgerald: “Non si scrive perché si vuole dire qualcosa, ma perché si ha qualcosa da dire”. I blogger continueranno ad avere un loro ruolo solo se sapranno creare contenuti di qualità, cosa che l’influencer non fa, perché il suo fine non è creare buoni contenuti ma influenzare i gusti e ottenere molti follower sui social. Le storie che si leggono su altitudini (storie che non vengano bruciate nella frenesia dei social in pochi giorni o in poche ore) hanno l’ambizione di ispirare e non influenzare. Ogni giorno vediamo quanto le tecnologie digitali possono creare dipendenza e generare ulteriore isolamento e quando constatiamo che attraverso le storie di altitudini si creano connessioni profonde e durature tra le persone, allora è evidente la differenza tra autori di storie e “semplici” influencer. E ogni volta che organizziamo un incontro dal vivo, allora vediamo quanto è forte il desiderio di incontrare personalmente gli autori conosciuti sul web. Le amicizie che nascono sul digitale per consolidarsi hanno bisogno di incontri nel mondo reale, per condividere ideali, pensieri, valori, giudizi.
Ricordo quella gita fatta con amici nella notte dei tempi quando, con il chiarore delle stelle, salimmo al bivacco Minazio, in val Canali, nelle Pale di S. Martino.
Durante la salita Teddy raccontava, parlava degli gnomi, presenti particolarmente in quella foresta. Raccontava di come quel bosco fosse quello propriamente adatto agli gnomi e ci invitava a prestare attenzione perché, con particolare fortuna, forse anche noi potevamo essere parte di quel mondo, che era più suo che nostro.
E’ il suo modo di essere, scanzonato e schivo, di persona che crede nell’utilità della scrittura, del racconto, della favola.
Mi vengono in mente alcuni passi di Guido Piovene che nel suo “Viaggio in Italia” parlando delle genti che stanno tra il bellunese e il Trentino scrive: “Hanno fama di essere gente poetica…Si devono ad essi le fiabe e le leggende di quei monti, sugli elfi, sugli gnomi, su re Laurino”.
E Piovene si chiede, come fa Teddy, come facciamo in molti: cosa resta di questo mondo, di questa montagna.
E Piovene ancora ci guida, e ci aiuta a trovare la risposta, che gli viene parlando con le guide di Cortina laddove scrive:” I ”progressi” numerici dell’alpinismo sono dunque fittizzi. Qui si vede la crisi portata nell’alpinismo dai mutati costumi della borghesia italiana. Declina l’alpinismo inteso come fatica media, legata alla disciplina morale e ai piaceri contemplativi; la gente che affluisce nelle montagne si divide in due schiere, i pigri vincolati al mezzo meccanico, e gli acrobati senza gusto per la natura, attratti dall’arrampicata-prodezza. Funicolari, teleferiche, sbrigative ascensioni che si fanno a sedere. L’alpinismo contemplativo diviene sempre più faccenda di anziani”, e ancora, dopo aver analizzato il mutamento di costume della società, scrive “L’orrore della solitudine, l’horror (actractio) vacui, sembra aver preso soprattutto la società italiana”.
Si scrive per vivere emozioni, per raccontare, per riflettere, per agire, per non restare indifferenti, per restare soli, in senso buono.
Pensando alla nuova strada che vogliono costruire per le Olimpiadi invernali a Cortina (o a molti altri inutili impianti) mi vengono alla mente le parole di Cognetti quando dice che le strade che vanno alla montagna portano, ma soprattutto portano via, svuotano, privano di senso, anche interiore, banalizzano la montagna e rendono sbrigativa l’esperienza.
Chissà cosa pensano le guide di Cortina adesso con le Olimpiadi alle porte.
Porterà o svuoterà?
Sarebbe bello interrogarsi anche di questo come fece Piovene alla metà degli anni ’50 del secolo scorso.
Altitudini è una fiammella che aiuta a prenderci “cura delle montagne anche con la parola”.
Un filo invisibile continua a unire le nostre vite, se lo segui a ritroso fa emergere ricordi quasi perduti, se immagini dove andrà è una consolazione. Grazie Vittorio. Grazie anche di aver ricordato Piovene e l’attualità del suo pensiero.