Ci sono filosofi che riescono a vedere l’essere nel tempo camminando su un sentiero di campagna.
Ci sono sentieri da salire al buio, che percorri per un’esistenza intera, una volta l’anno, sempre la stessa notte, perché per te che non sei un filosofo c’è solo la montagna che ti aiuta a pensare in salita, cercando un attacco, un segnale, un varco, la giusta direzione.
E così cammini, a volte con la neve che scrocchia sotto le Vibram degli scarponi, altre con il vento che ti schiaffeggia il naso. Con le nuvole, con la nebbia, con la luna che dondola tra i faggi. Con i lamenti dei rami, come su una nave ormeggiata dopo la tempesta, i sensi desti e attenti ai rumori del bosco e alle presenze interiori, lo scarto lontano di un cinghiale, il richiamo d’un pettirosso, il muschio, il vischio e la rosa canina, il ghiaccio e i merletti della galaverna. Verde, nero, bianco, rosso.
Proprio qui, su questo traverso, hai pensato di possedere e di cambiare, hai pensato di essere altro e di dover portare altri sul tuo stesso sentiero.
È il Natale, il tuo Natale, quello più antico che sta giù, in un angolo, in un interstizio, in una spira, in una tana, in fondo all’anima, da raggiungere lassù, nel punto più alto, più aperto, più libero.
È il tuo sentiero del solstizio d’inverno, anno dopo anno, come in una ruota che gira dove tutto sembra uguale, ma in realtà, ogni turno è diverso dall’altro.
È un sentiero in pendenza, un piano inclinato al contrario che ti trascina verso l’alto, che va dalla città al paese e dal paese alla montagna. Dove, a un certo punto, non sempre lo stesso, ti fermi e ti appoggi a un albero. Apri lo zaino e ne estrai il cartoccio di canditi dolci e colorati che puoi mangiare con gusto solo se li vedi come il bambino che guardava il sole con gli occhi strizzati e che sale con te. Poi per ricordarti d’essere vecchio apri la fiaschetta e bevi grappa, o rakija, comunque acqua vite, in cerca di calore.
Allora puoi riprendere il cammino su quello stesso sentiero segnato dai tuoi anni, dalle tue rivoluzioni, che ogni sasso ti ricorda per averlo calpestato, carezzato, o scalciato l’anno prima e quello prima ancora, con un peso diverso, con un sogno differente, con un’ansia più opprimente, un amore ammaliante, o con una gioia trainante. Con il pieno che si svuota e il vuoto che ti riempie, con le tue canzoni dannate che ti danno il ritmo e che provi a fischiettare mentre ansimi in salita.
Proprio qui, su questo traverso, hai pensato di possedere e di cambiare, hai pensato di essere altro e di dover portare altri sul tuo stesso sentiero, hai pensato che il tempo fosse lui a dominarti, che Crono fosse il re e che misurasse i tuoi passi anche lungo questo passaggio nel fosso di brina sopra le foglie secche… hai pensato che bisognava correre, che occorreva sbrigarsi.
E questo è il tuo Natale, quello in cui finalmente non c’è fretta e l’essere è senza tempo.
Ma no, non dovevi portare nessuno e te ne sei accorto qualche anno dopo, quando la ruota è girata ancora e tu eri su questa stessa forra, o forse un po’ più su, a guardare il traverso dall’alto dei prati sommitali. La questione era tua e solo tua, tutto il resto era immobile, persino il cammino, persino il tempo. Perciò hai pensato che magari sei tu il cammino, che sei tu il tempo. E ti è venuto da ridere.
Questo sentiero è il tuo sentiero, l’hai percorso da solo e in compagnia una volta l’anno, in questa stessa notte, prima che il sole, come sempre, si rinnovi, prima dell’aurora e della sua aura, prima di toccare tre volte le pietre del tempio in cima alla montagna. Prima di alzare gli occhi al cielo e sentire i piedi ben piantati per terra.
Sta per sorgere ancora e mentre guardi il sipario delle nubi che si solleva e il sole che fa capolino folgorando i tuoi pensieri gelati, capisci che quel che conta è esserci.
E questo è il tuo Natale, quello in cui finalmente non c’è fretta e l’essere è senza tempo. No davvero, non c’è fretta. Come su un sentiero di campagna.