Dal 1914 Cortina era diventata la base degli italiani, la vita certamente continuava, i negozianti vendevano i loro prodotti ai soldati, invece che ai turisti, gli alberghi ospitavano ufficiali italiani.
Solo le montagne intorno erano rimaste immutate a guardia della valle d’Ampezzo.
Gli abitanti di Cortina attendevano, sentendosi abbandonati e soli, così come i soldati che erano dovuti partire per la guerra sotto l’impero d’Austria e Ungheria. Erano passati ormai molti mesi da quando Bepi e gli altri erano partiti per la guerra; la moglie andava in chiesa a pregare e poi si chiudeva in un silenzio di meditazione e sofferenza. Era convinta in cuor suo che l’amato Bepi fosse in salute e che grazie al Signore, il buon raccolto e i positivi lavori agricoli potessero darle una minima serenità in questo difficile momento. Il figliolo cresceva bene e bisognava adattarsi alla nuova situazione senza disperarsi.
Si udiva in lontananza il rimbombo continuo dell’artiglieria, il crepitare delle mitragliatrici; ogni momento poteva significare la morte di qualche soldato, ma cercava di non pensare per avere più forza ed essere più tranquilla, per quanto fosse possibile in un atroce momento come quello.
L’inverno era giunto e la neve ricopriva di un magico e silenzioso manto tutta Cortina e la vallata circostante. Una mattina Rosa, così si chiamava la moglie di Bepi, sentì bussare alla porta di casa; si trovò davanti un vecchio amico del marito, loro ospite in tempo di pace che era stato destinato dal comando italiano in zona. Dopo un atteggiamento quasi ostile della donna, il tenente Ferri disse che si sarebbe interessato per avere notizie del marito. Rosa, rincuorata, si recò nella stanzetta del bambino con animo aperto e tranquillizzato, il piccolo aveva il pollice in bocca e quando la vide fece un sorriso. Le si aprì il cuore.
Il tenente Ferri venne accolto in alloggio e Rosa notò da subito che l’attendente dell’ufficiale, si dava un gran da fare per sistemare le cose e levarle i lavori più faticosi e pesanti; finalmente un momento di piacevole tranquillità dopo tante sofferenze. Dopo qualche tempo, il tenente Ferri comunicò che doveva lasciare l’alloggio per un po’ di tempo perché era stato destinato in prima linea.
Era di nuovo inverno, un inverno senza fine, ostinato, un duro inverno che tutto possedeva ed abbracciava senza lasciare una minima speranza. La valanga si era staccata, là in alto; la massa nevosa rotolava nel canalone e travolse una ventina di soldati, che stavano portando viveri e pasti caldi nelle marmitte, ai soldati di prima linea. La morte bianca aveva ancora una volta levato la vita a quei giovani forti e coraggiosi.
Una mattina molto fredda e col cielo tersissimo, Bepi venne mandato in osservazione su in alto nella montagna; da lì col binocolo oltre alle postazioni italiane, vide anche Cortina, le vie, le persone che si muovevano, il tetto di casa sua. Rivolgendosi al suo compagno di pattuglia, gli passò il binocolo e gli confidò, dobbiamo trovare il modo di andare giù, nel paese a salutare la moglie ed abbracciare il bimbo che non aveva ancora visto per colpa della guerra.
Si rivolse all’amico e lo vide riverso con un rivolo di sangue che gli scendeva dalla tempia, gli occhi sbarrati al cielo! Una sorda disperazione si impossessò di lui, affranto, il desiderio di rivedere i suoi cari, a qualsiasi costo.
Sulle montagne imperversava una tormenta di neve, proprio il tempo che Bepi stava attendendo da giorni. Strisciò fino ai reticolati, con difficoltà li superò, scese la fiancata ripida del monte con movimenti agili e sicuri, saltò nella massa della neve, lasciandosi trascinare a valle e poi via veloce e silenzioso. Giunse sopra Pocol, lasciò dietro di sé le baite più in basso e riuscì ad arrivare al paese, ora doveva stare ancora più attento. In lontananza la finestra di casa, illuminata, spandeva la luce sulla strada; in breve arrivò all’uscio di casa, era accostato e nel mentre valutava la situazione la moglie uscì per recarsi nella stalla, lui si fece riconoscere, ma lei turbata quasi si mise ad urlare. La calmò ed abbracciò, di corsa andò con Rosa nella cameretta del piccolo, addormentato, lo sollevò, lo baciò, baciò la consorte e via, veloce come era arrivato, tornò sui suoi passi. Aveva fatto ciò che desiderava di più, ma non poteva abbandonare i sui camerati ed amici e tornò nelle trincee!
Passano gli anni, il turismo sempre più ha invaso benevolmente questi luoghi e queste montagne; due scalatori discendono dalla Forcella dei Bos, sotto le ripide pareti delle Tofane, i due hanno molti ricordi comuni di questi posti, anni prima, sotto ferro e fuoco. Tacciono e guardano intorno, assaporando la grandiosità e la bellezza illimitata di queste montagne, scorrono nei loro occhi tremende immagini di guerra, il terribile “sentiero nero” per antonomasia. «Sai caro amico» dice Ferri a Bepi, «gli uomini passano ma le montagne grandiose e possenti, restano in eterno!»
Questo, un racconto che conservo in me da anni, da quando molto piccolo, con passo incerto e qualche timore ho incominciato, con grande entusiasmo, a seguire i miei, nelle loro escursioni, in montagna; anche nella vita ho trovato poi abitudine nel valutare con attenzione e saggezza i vari passaggi e le varie scelte da interpretare.