Andarci è un’occasione per entrare a far parte, facendosi piccoli piccoli, della Natura. Ognuno lo fa a suo modo. I più sensibili, allora come in questa caldissima estate, sanno vedere e raccontare quello che hanno visto. Con Laura il viaggio tra vulcani, fiumi e ghiacciai è anche un viaggio dentro le parole, e quelle della Terra di Ghiacci sono così, con lei, meno inaccessibili.
∼ la Redazione di altitudini
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29 luglio 2022 – Giornata di avvicinamento, alle estremità due escursioni e nelle ore centrali un tragitto in furgone che ci conduce da una terra civilizzata, per quanto poco, a paesaggi via via più aspri, solitari, immensi.
La prima escursione inizia sulla soglia di una piccola formazione montagnosa che appartiene a un altopiano più esteso caratterizzato da periodiche eruzioni fissurali: Fagradalsfjall, in realtà più un sistema di fenditure che di crateri. Il suo picco più alto misura 385 m. Il vulcano è tornato in attività nel marzo del 2021 dopo un lungo periodo di quiescenza (l’ultima eruzione risaliva al XIII secolo) e si trova a circa quaranta chilometri da Reykjavík, a sud dell’omonimo monte Fagradalsfjall. I primi di agosto di quest’anno il vulcano è tornato a eruttare.
Il sentiero si allunga in mezzo ai prati, poi solca un terreno sassoso e infine si blocca davanti a una distesa di lava grigio-nera, al tatto roccia abrasiva, bucherellata da minuscole bolle di ossigeno che le danno un aspetto spugnoso. Dobbiamo arrampicarci sui bordi di questo mare cristallizzato per poter sollevare lo sguardo e renderci conto dell’enorme colata che ha cambiato i tratti al paesaggio preesistente. Due sono gli stati d’animo: la sensazione di violare in qualche modo una natura forte che respinge le impronte dell’uomo, e una sorta di straniamento per la difficoltà a memorizzare i nomi di questi luoghi. E ugualmente due sono i pensieri che nelle ore e nei giorni successivi risponderanno a questi primi stati d’animo. Alla bellezza e all’infinito non è possibile sottrarsi, ma si può percorrere la traccia segnata – eco di orme antiche – con passo lento, silenzioso, rispettoso, e mettendosi in una condizione di ascolto; la lingua, che scandisce tappe forse più recenti, come sempre dischiude itinerari, valichi, scorci, e ci vuole pazienza, amore.
Cammino con attenzione su un suolo lunare dalla conformazione ondosa, corrugata, che in certi punti rivela fori e fenditure da cui escono fumi grigi e odore di zolfo. Le fumarole ci accompagneranno per tutto il trekking. Fjall in islandese significa rilievo, montagna. La lingua di questa terra è agglutinante, giustappone morfemi distinti che tendono a rimanere invariati; ogni morfema veicola un singolo significato. Una constatazione che nel corso dei giorni acquisirà nel paesaggio una sua evidenza plastica e descrittiva.
Il furgone corre su una pista sterrata. Guadiamo due torrenti entrando in acqua fino a metà delle portiere. Verso le cinque di pomeriggio arriviamo al rifugio dove passeremo la prima notte: letti a castello di legno addossati alle pareti, un tavolo al centro della stanza, una stufetta e un angolo cucina. Wc esterno, doccia a duecento metri in un casottino battuto dai venti. I rifugi si somiglieranno tutti. Lasciamo gli zaini e ci avviamo a piedi lungo un sentiero che si inerpica sul crinale di un vulcano dormiente, ormai ricoperto da una vegetazione bassa verde e rosata.
Quando lascio il sentiero e metto il piede sul terreno colorato mi accorgo che si tratta di licheni e muschio: è come camminare su un materasso di gomma, i licheni arpionano le suole delle scarpe e non si scompongono, anzi ti accompagnano, ti sollevano quasi. Percorriamo una traccia sempre più esile per tre ore, discendendo e risalendo avvallamenti e rilievi. In lontananza intravediamo un lago blu. Il vento dissolve le frenesie e le sollecitazioni della vita civilizzata che ci siamo lasciati alle spalle, scompiglia i pensieri, li rende fluidi, sottili, docili. Si allentano le resistenze, la luce di un sole che non accenna a tramontare disegna un orizzonte curvo, un sorriso.