Ne ho trovata una l’altro giorno mentre cercavo tutt’altra cosa all’interno del fienile che ormai non custodisce più il fieno, ma chilometri e chilometri di bianche tele di ragno. Il sole penetrava tra le assi e le travi di legno, raggi di sole come fendenti sulla carne morta, morta come la vita del fienile in disuso da parecchi anni.
La pianta non è altro che un utensile di ferro della lunghezza di trenta centimetri circa, del diametro di alcune decine di millimetri che termina con una punta acuminata. Al centro come la guardia d’una spada, con due fori per riporre il martello. All’opposta estremità si trova un profilo con una decisa nervatura al centro.
Mio padre batteva la falce servendosi della pianta la mattina presto, quando ancora la rugiada copriva gli steli dell’erba ed il sole, dietro il bosco, faceva capolino sulle chiome ammantate da milioni di carnose foglie dalle mille sfumature di verde.
Metteva la lama della falce adagiata sulla nervatura e con il martello la batteva, rendendone il filo tagliente come un rasoio da barba.
Mio padre batteva il colpo “doppio”, altri battevano il singolo. Tac tac-tac tac-tac tac per il doppio, tac-tac tac per il singolo. Poco cambiava se fosse doppio o singolo, l’importante era rendere il filo il più sottile possibile, senza i cosiddetti “tappi”, ovvero piccole imperfezioni della lama.
La rifinitura del filo veniva poi fatta con una pietra particolarmente abrasiva ma di pasta fine, qui nel Feltrino la chiamiamo pria e per farla correre più velocemente sulla falce bisognava bagnarla, con l’acqua o con lo sputo.
Mio padre batteva la falce ogni mattina per tutta la stagione del taglio del fieno, prima di andare nei prati mentre io ancora dormivo. Solo da pochi anni ho capito perché mio padre batteva il colpo doppio e solo in quel fazzoletto di prato vicino a casa, sotto la finestra della camera dove dormivo. Ogni mattina, come se ci fossimo accordati, mi alzavo dal letto non appena terminava di battere, scendevo le scale ed entravo in cucina, lui con il fazzoletto al collo rispondeva con un cenno del capo al mio buongiorno.
Non mi ha mai chiesto: «A che ora ti devo svegliare?» e io non gli ho mai chiesto di svegliarmi.