#9 – San Vito di Cadore (Belluno)
Prendevamo una casa in affitto con altri amici veneziani nella zona Costa, un po’ fuori dal centro del Paese. La casa era divisa in tre appartamenti con terrazza e il nostro era quello più in basso: solo una piccola scala ci divideva da una grande giardino con due altalene dove passavamo ore a giocare quando non andavamo in gita.
La casa delle nostre vacanze era situata in una zona stupenda. Dalla terrazza vedevo il Pelmo mentre alle spalle avevo la selvaggia Croda Marcora e l’Antelao, oggi la cima più alta del Veneto. Intorno ampi prati, ora al loro posto sorgono diverse “seconde case”, dove incrociavo spesso il signor Pordon, ricordo ancora il cognome, che veniva a tagliare l’erba per fare il fieno da portare in una stalla dietro casa dove aveva ancora diverse mucche. Ricordo che spesso abbandonavo il gruppo di amici con i quali giocavamo a nascondino o a guardie e ladri e mi allontanavo verso il prato e, seduto sull’erba, incuriosito osservavo il signor Pordon mentre, con la falce a mano, con non poca fatica, falciava il prato. Poi ricordo che, guardandomi sorridente, se ne andava lasciando l’erba falciata ad asciugare al sole. Tuttavia sapevo che poi sarebbe ritornato, questa volta in compagnia della moglie, ed entrambi con la forca da fieno l’avrebbero rivoltata per asciugarla maggiormente e portarla, una volta secca, con il carro in fienile. Quando il carro, forse già un piccolo trattore non ricordo bene, arrivava e raccoglieva il fieno, io ero sempre lì e ne rubavo un mucchietto da portare a mia madre che sosteneva portasse fortuna e che fosse una sorta di “potente” amuleto.
Bellissimo testo Testimonianza delicata ed appassionata in cui, chiunque non sia cresciuto all’ombra del turismo “mordi e fuggi”, riesce a riconoscersi condividendo con l’autore l’amore rispettoso per la montagna. Un amore che traspare con malinconia come le foto di una montagna e di un’epoca che ormai esistono solo nei ricordi.