Racconto

DONQUIFLY: CLIMB & FLY

Mirco Grasso e Stefano Lorenzon, alpinisti e piloti di parapendio, hanno un grande progetto: scalare la prete sud della Marmolada e scendere in parapendio dalla cima più alta delle Dolomiti.

testo e foto di Stefano Lorenzon

17/06/2022
4 min
L’arrampicata in montagna è una delle attività sportive che amo di più e che mi piace condividere con Mirco, il mio compagno di scalate.

Ci è capitato spesso che una volta raggiunta la cima, stanchi e appagati, il pensiero comune fosse di possedere un mezzo di teletrasporto per scendere velocemente fino al bar del parcheggio e trovare lì ad attenderci due belle birre fresche.

È il 2019 quando Mirco torna dalla Patagonia con l’idea di iniziare una nuova attività sportiva: volare in parapendio. L’ispirazione gli è venuta guardando l’amico Aaron Durogati (con cui ha condiviso il viaggio patagonico) che utilizza un parapendio leggero per la discesa, cosa che gli permette di accorciare di gran lunga i tempi di rientro e di aggiungere un pizzico di avventura alla salita.

La discesa in parapendio dalle cime che si sono appena scalate non è una invenzione recente. Jean-Marc Boivin, ancora verso la metà degli anni ’80, fu tra i primi a farlo. Memorabile rimane il concatenamento che fece di quattro pareti nord: il 18 marzo 1986 sale in solitaria in 17 ore la Goulotte Grassi-Comino sull’Aiguille Verte, la via Cornuau-Davaille sulle Droites, la via degli Svizzeri sulle Courtes e il Linceul sulle Grandes Jorasses, e soprattutto il primo volo col parapendio dalla vetta dell’Everest, il 26 settembre 1988.

Mirco inizia così il suo percorso per acquisire il brevetto di volo e poco dopo sento anch’io il desiderio di provare qualcosa di nuovo e, affascinato a mia volta dalle “Combo” di Aaron, decido di seguire Mirco che nel frattempo, causa un infortunio, non ha potuto finire il corso. È l’occasione buona per completare il corso insieme e, infatti, nel luglio 2021 conseguiamo entrambi il brevetto di volo.

Subito iniziamo a fantasticare su cosa potremmo fare con la vela nello zaino e immediatamente l’attenzione cade sulla Marmolada che già abbiamo scalato e sciato insieme. Salire la parete sud arrampicando, per poi volare dalla cima con il parapendio, diventa ben presto uno dei progetti da concretizzare. La formula che vogliamo adottare è di portarsi tutto in spalla, salire e scendere in giornata, motivo per cui scegliamo la classica via Don Quixote, aperta da Heinz Mariacher e Reinhard Schiestl nel 1979: via non di difficoltà tecniche elevate ma che, comunque, impegna per il suo lungo sviluppo di oltre 900 metri.

Arriva così il primo fine settimana di giugno. Sabato sembra sia l’unico giorno con meteo buono, anche se le previsioni danno vento sostenuto da sud per il pomeriggio e il nostro decollo ottimale chiederebbe invece vento da nord. Dubbiosi fino all’ultimo sul da farsi, ci diamo comunque appuntamento a Mas di Sedico il venerdì sera, con il programma di salire con due macchine, di cui una da lasciare al Passo Fedaia nel caso dovessimo scendere a piedi lungo il ghiacciaio (o quel poco che ne resta) se il vento non dovesse permetterci il decollo dalla cima.

Lasciamo la macchina di backup sul Passo Fedaia, scendiamo al parcheggio di Malga Ciapela, dove passiamo la notte nel furgone del Mircone. A dire il vero avevo proposto di salire e dormire al bivacco del rifugio Falier, per ridurre l’avvicinamento al mattino, ma Mirco che ha un bel motore al posto dei polmoni mi ha bocciato l’idea e come sempre mi tocca farmene una ragione.

Ore 4.00
Suona la sveglia, colazione e caffè al volo e con gli zaini carichi ci incamminiamo verso il rifugio Falier.

Ore 7.30
Attacchiamo la via con i primi tiri facili in conserva, vogliamo essere più veloci possibile, con 23 tiri da fare sarà una giornata lunga. Alle 11.30 circa, siamo alla cengia mediana, dove raggiungiamo un’altra cordata: Corrado e Silvia. Riparto io con un traverso appoggiato, sto già soffrendo con i piedi, l’ultimo anno ho scalato pochissimo per dedicarmi interamente al volo e di contro le scarpette sembrano essere più strette di cinque numeri, così lascio il comando a Mirco. Durante la salita ci scambiamo sempre qualche impressione sul vento che non sembra fortissimo, ma che proviene da Sud e per questo sappiamo che non sarà un decollo con il massimo del comfort.

Ore 16.15
Siamo finalmente in vetta, felicissimi di aver terminato la via, ma ancora più felici perché sembra che si possa decollare, il vento non è aumentato. Con due doppie raggiungiamo il ghiacciaio sottostante, la neve è bella cotta, si sprofonda fino al ginocchio e questo potrebbe essere un altro problema per la nostra corsa al decollo.

Ore 17.00
Siamo al decollo appena sotto alla stazione di Punta Rocca. Sono molto tranquillo, quest’anno ho volato tanto, mi sento sicuro e trasmetto la mia sicurezza e positività a Mirco che, al contrario, ha sempre dedicato più tempo alla scalata che al volo. Causa la leggera brezza che arriva alle nostre spalle, le vele stese a terra non rimangono ferme; quindi, suggerisco di fare dei buchi nella neve e seppellire in tre punti il bordo d’attacco. È un metodo che ho già utilizzato in altre due analoghe situazioni, con la neve è un ottimo sistema. Lascio che Mirco si posizioni sopra delle tracce di ciaspole, nel punto in cui la neve più compatta, io rimango alla sua sinistra fuori traccia sperando di farmi portare dal vento essendo più leggero di lui.

«Mirco, il primo momento buono, io parto».
«Ste, per favore aspetta un attimo che sistemo le bretelle».

Ho la foga di partire ma non lascio il mio amico da solo, siamo una coppia fino alla fine e lui mi ha aspettato lungo i tre quarti della via (è una macchina Mirco!). Ancora qualche minuto e siamo pronti, provo a partire ma faccio un passo e sprofondo nella neve fino al ginocchio, se non è battuta non si parte a maggior ragione con il vento da dietro.

«Mirco parti tu, poi io mi sposto dove sei tu».
«Ok Ste, vado».

La rincorsa è perfetta, la traccia delle ciaspole è portante, una cinquantina di metri di rincorsa e Mirco stacca i piedi da terra. Tocca poi a me partire e in pochi secondi mi ritrovo un centinaio di metri sopra il ghiacciaio. Riusciamo a termicare, non è una semplice planata e approfittiamo per gustarci questa meraviglia dall’alto. Siamo d’accordo di atterrare al Passo per recuperare la macchina lasciata come backup.

Ore 18.00
Ci ritroviamo al parcheggio con due mega sorrisi, quasi increduli che tutto sia andato come da programma, felici per essere stati utili ad entrambi (e questa è la cosa più bella per me). Ripiegando le vele già stiamo pensando a cosa faremo prossimamente. Poi, tra un impegno di uno e dell’altro, sono sicuro che passeranno dei mesi prima di rincontrarmi con Mircone, ma sono altrettanto sicuro che quando accadrà ne uscirà un’altra avventura che rimarrà nel cuore di entrambi per tutta la vita.

Stefano Lorenzon

Stefano Lorenzon

Sono Stefano Lorenzon classe 1983. Mi appassionano le avventure, in particolare quelle in montagna con gli amici giusti. Scalare e sciare sono le discipline che più pratico nel tempo libero, dal 2021 vivo la montagna anche attraverso l’aria e il volo libero. Mi diverto sempre.


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