Ci è capitato spesso che una volta raggiunta la cima, stanchi e appagati, il pensiero comune fosse di possedere un mezzo di teletrasporto per scendere velocemente fino al bar del parcheggio e trovare lì ad attenderci due belle birre fresche.
È il 2019 quando Mirco torna dalla Patagonia con l’idea di iniziare una nuova attività sportiva: volare in parapendio. L’ispirazione gli è venuta guardando l’amico Aaron Durogati (con cui ha condiviso il viaggio patagonico) che utilizza un parapendio leggero per la discesa, cosa che gli permette di accorciare di gran lunga i tempi di rientro e di aggiungere un pizzico di avventura alla salita.
La discesa in parapendio dalle cime che si sono appena scalate non è una invenzione recente. Jean-Marc Boivin, ancora verso la metà degli anni ’80, fu tra i primi a farlo. Memorabile rimane il concatenamento che fece di quattro pareti nord: il 18 marzo 1986 sale in solitaria in 17 ore la Goulotte Grassi-Comino sull’Aiguille Verte, la via Cornuau-Davaille sulle Droites, la via degli Svizzeri sulle Courtes e il Linceul sulle Grandes Jorasses, e soprattutto il primo volo col parapendio dalla vetta dell’Everest, il 26 settembre 1988.
Mirco inizia così il suo percorso per acquisire il brevetto di volo e poco dopo sento anch’io il desiderio di provare qualcosa di nuovo e, affascinato a mia volta dalle “Combo” di Aaron, decido di seguire Mirco che nel frattempo, causa un infortunio, non ha potuto finire il corso. È l’occasione buona per completare il corso insieme e, infatti, nel luglio 2021 conseguiamo entrambi il brevetto di volo.
Subito iniziamo a fantasticare su cosa potremmo fare con la vela nello zaino e immediatamente l’attenzione cade sulla Marmolada che già abbiamo scalato e sciato insieme. Salire la parete sud arrampicando, per poi volare dalla cima con il parapendio, diventa ben presto uno dei progetti da concretizzare. La formula che vogliamo adottare è di portarsi tutto in spalla, salire e scendere in giornata, motivo per cui scegliamo la classica via Don Quixote, aperta da Heinz Mariacher e Reinhard Schiestl nel 1979: via non di difficoltà tecniche elevate ma che, comunque, impegna per il suo lungo sviluppo di oltre 900 metri.
Arriva così il primo fine settimana di giugno. Sabato sembra sia l’unico giorno con meteo buono, anche se le previsioni danno vento sostenuto da sud per il pomeriggio e il nostro decollo ottimale chiederebbe invece vento da nord. Dubbiosi fino all’ultimo sul da farsi, ci diamo comunque appuntamento a Mas di Sedico il venerdì sera, con il programma di salire con due macchine, di cui una da lasciare al Passo Fedaia nel caso dovessimo scendere a piedi lungo il ghiacciaio (o quel poco che ne resta) se il vento non dovesse permetterci il decollo dalla cima.
Lasciamo la macchina di backup sul Passo Fedaia, scendiamo al parcheggio di Malga Ciapela, dove passiamo la notte nel furgone del Mircone. A dire il vero avevo proposto di salire e dormire al bivacco del rifugio Falier, per ridurre l’avvicinamento al mattino, ma Mirco che ha un bel motore al posto dei polmoni mi ha bocciato l’idea e come sempre mi tocca farmene una ragione.