Reportage

ALTA VIA DEGLI ALTIPIANI

Un cammino di circa 50 km che attraversa cime, boschi e pascoli dell’altopiano di Asiago, dal Passo Vezzena a Enego.

testo e foto di Andrea Perini

27/09/2020
Luoghi spesso ai margini dei desideri escursionisti, ma che invece sanno affascinare con la loro semplicità e catturare con panorami inaspettati, oltre che assumere rilevanza dal punto di vista storico per i fatti occorsi durante la Grande Guerra.

Se poi si attraversano fuori stagione quando l’aria è più tersa, il sole intiepidisce le rocce, il rumore più forte è quello delle foglie che cadono a terra dopo una elegante danza e l’unica compagnia è quella di uno scoiattolo che ci osserva tra i rami, allora potremmo anche venire stregati dal fascino di queste cime “minori”.
L’Alta Via degli Altipiani è uno di questi percorsi (sulla carta Tabacco è segnato come Alta Via n.11) è un cammino di circa 50 km, proposto in quattro comode tappe, che attraversa cime, boschi e pascoli dell’altopiano di Asiago, da Passo Vezzena (1417 m) a Enego (751 m).

Ciò che sono con ciò che ero
In questi luoghi sperimentai le prime notti trascorse tra i monti, quando ancora studente. Con il caro amico Enrico ci mettemmo in cammino per alcuni giorni che hanno lasciato un segno nostalgico; ricordo i passi mossi con l’entusiasmo della novità e la fatica dell’inesperienza, così come la rinuncia a salire Cima Dodici per il cattivo tempo. Con il passare degli anni la fantasia ha elevato quella pur semplice cima a meta mitica, un po’ come gli occhi ingenui dei bambini vedono stupefacenti anche le cose più semplici. Così questo cammino è stato l’occasione per ripercorrere i “vecchi sentieri”, raggiungere quella cima che ha atteso per tanto tempo e soprattutto rivivere ricordi e sensazioni del passato confrontando ciò che sono con ciò che ero.

– 1° giorno
Sveglia molto molto presto e viaggio fino ad Asiago. Alle 5:40 parte la corriera diretta a Lavarone; è ancora buio e l’aria pungente. Mentre l’autobus fila nella notte mi lascio cullare dalle curve; il tepore mi rilassa e mi coglie un leggero abbiocco. Intanto la radio trasmette “A horse with no name” degli America e per un momento mi sembra di essere in un sogno dove si viaggia senza fatica e senza meta. La voce dell’autista mi ridesta: sono arrivato a Passo Vezzena.

Scendo con la sensazione di essere in un limbo tra due mondi: il buio non permette di vedere nulla e fatico ad indovinare anche la carrozzabile da cui prende avvio il percorso. Le porte di chiudono e l’autobus riparte sfumando sul ritornello “In the desert you can remember your name …”. Ora che anche la luce dei fari è scomparsa dietro la curva, meglio accendere la frontale e capire dove andare. Il cammino inizia facile per poi infilarsi dentro un bosco e mentre mi guardo attorno, la frontale illumina gli alberi che si riempiono di riflessi argentati dando la sensazione di attraversare un luogo fatato al termine del quale si sbuca su un crinale improvvisamente illuminato. Le prime luci mi permettono di vedere il luogo di partenza e il percorso fatto finora.

Arrivo su Cima Vezzena (1908 m) con il forte Spitz Verle, giusto al sorgere del sole: la vista è spettacolare verso le cime che si illuminano: l’Adamello, il Gruppo di Brenta e la Catena dei Lagorai per dirne alcune; mentre i laghi di Levico e Caldonazzo e tutta la Valsugana sembrano voler riposare altri cinque minuti coperti da un leggero lenzuolo di foschia. Davanti a me si vede il tracciato che mi attende, la meta sembra così lontana, meglio proseguire. Buoni sentieri conducono con continui saliscendi attraverso pini mughi e radure per raggiungere prima Cima Manderiolo (2049 m) e poi Cima Larici (2033 m). Il sole esalta le colate di colori che scendono sui pendii boscosi sottostanti. Quindi il sentiero passa accanto ai resti di un incendio dagli spiccati contrasti cromatici, per poi inerpicarsi lungo un crinale assolato fino a Cima Portule (2308 m).

Ora il paesaggio diventa carsico con nuove tonalità di bianco e di grigio mentre mi dirigo verso Cima Dodici (2336 m). Raggiungo la cima più alta di questa traversata veramente sfinito ed estremamente assetato. La giornata sorprendentemente calda sta velocemente consumando le mie risorse di acqua, rendendo insufficienti i 5 litri che mi sono portato. Dopo una pausa sotto la croce, scendo al vicino Bivacco Roger Lenzi (2050 m) dove si conclude questa prima tappa.

Provo a bollire un po’ d’acqua piovana raccolta in una cisterna per fare un tè e dopo essermi tolto un po’ di sete, mi distendo a riposare in questa accogliente casetta mentre dalla porta aperta entra un po’ d’aria tiepida. Intanto leggo i pensieri affidati al libro del bivacco: la semplicità di bambini stupefatti da questa casetta tra i monti, la frustrazione di chi cerca un riparo con la pioggia, la soddisfazione per una splendida giornata in compagnia, chi promette di tornare per fermarsi a dormire e chi rievoca gite di molti anni orsono. Ripenso anch’io a quando mi fermai qui la prima volta, a quel miscuglio di stanchezza, orgoglio e giocosità che mi pervadeva stando steso sul soppalco mentre dentro scoppiettava il fuoco e fuori il cielo si copriva.

– 2° giorno
Chiudo la porta del bivacco e lascio le Buse delle Dodese in una atmosfera vellutata. Un’aria gelida soffia sopra la foschia mattutina, mentre la luna sfuma tra le prime luci dell’alba. Dopo una breve risalita il sole fa capolino a riscaldare l’aria tingendo il paesaggio di tenui colori dorati, mentre in lontananza le nuvole coprono la pianura e si infrangono contro i monti. Prima tra pini mughi e poi su terreno aperto, attraverso a mezzacosta in direzione del Monte Ortigara (2106 m) dove il Cippo Italiano, il Cippo Austriaco e i numerosi resti militari ricordano i caduti durante cruenti battaglie.

Il passo rallenta quasi a voler bighellonare tra i resti di una trincea e le suggestive postazioni in caverna, mentre cerco di ritrovare immagini già viste. Infine si attraversano i visibili resti di baraccamenti e ricoveri risalendo Cima Caldiera (2124 m) dove il vento spazza le rocce e suggerisce una sosta piuttosto breve; poco più a nord l’Osservatorio Torino rappresenta un ottimo punto panoramico da cui osservare il resto del cammino. Da qui comincia grosso modo la discesa e il paesaggio cambia drasticamente: lungo tutto il crinale si attraversa un ambiente boschivo e prativo; la vista cala di spettacolarità ma la curiosità ancora si alimenta per fenomeni naturali quali il Buso dei Quaranta (un’ampia dolina di crollo) e i Castelloni di San Marco (un suggestivo e divertente labirinto di roccia tra cunicoli e gole).

Mentre cammino tornano alla mente ricordi che sembravano scomparsi, come se stessi guardando le diapositive di una vacanza passata. Durante la discesa con una breve divagazione si raggiunge l’Anepoz, il cippo n°1 del vecchio confine tra Impero Austro-Ungarico e Serenissima Repubblica di Venezia da dove si ha un ultimo scorcio panoramico a strapiombo sulla Valsugana. Da qui si scende attraverso bosco fino ai pascoli della Piana di Marcesina, un luogo così placido che suggerirebbe di essere giunti alla fine degli sforzi e invece le salite non sono ancora terminate. Prima si sale a Passo Forcellona (1435 m) per poi scendere e risalire a Forcella Frizzon (1446 m), quando ormai si interroga la cartina per vedere se c’è qualche scorciatoia che permetta di accorciare la marcia e porre termine alle fatiche.

L’ultima discesa comincia in luogo di vecchi alpeggi e casere che sanno regalare belle suggestioni con i colori d’autunno prima di raggiungere la strada asfaltata che conduce lungamente a Enego. Le ore trascorse fanno sentire il loro peso, la monotonia della discesa fa scorrere lento il tempo, ma infine sbuca dietro gli alberi il campanile che preannuncia il termine delle fatiche.

Arrivato in paese mi reco subito in un piccolo supermercato a fare scorta di bibite e patatine che consumo seduto alla fermata dell’autobus mentre allungo le gambe indolenzite cercando una posizione in cui riposare. Il cammino è appena finito e nuovi ricordi si aggiungono e si mescolano con quelli riemersi dal passato, mentre l’ombra del campanile si allunga e le luci del paese si accendono.

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Bibliografia:

L’Alta Via degli Altipiani: itinerario storico-escursionistico sull’Altopiano dei Sette Comuni in terra di confine; Luca Trevisan; CIERRE edizioni. Descrizione precisa e dettagliata dell’itinerario con numerosi approfondimenti storici.

Cartografia:
Tabacco 050: Altopiano dei Sette Comuni, Asiago – Ortigara.
Tabacco 057: Levico – Altopiani di Folgaria Lavarone e Luserna.

Andrea Perini

Andrea Perini

Sono nato a Venezia, lavoro come fisioterapista a Mestre, semplicemente appassionato di montagna. Da piccolo ho frequentato la montagna trascorrendo i mesi di vacanza estivi coi nonni nella casa di Col di Rocca Pietore (BL), percorrendo facili passeggiate ai rifugi della zona coi genitori e poi sperimentando l’escursionismo solitario che poco a poco mi ha portato a percorrere le Alte Vie delle Dolomiti. Da qui ho cominciato una esplorazione sistematica soprattutto delle Dolomiti, spingendomi poi anche in altre regioni per affrontare trekking più impegnativi. Appassionato di foto, pratico discretamente l’arrampicata sportiva e frequento la montagna in ogni stagione d’estate con gli scarponi e d’inverno con gli sci.


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