Quando ti manca la pila frontale

testo e foto di Massimo Bursi

Francesco sul traverso finale della via
05/11/2017
4 min

Liberi di sbagliare… ricordo assai bene, toccandomi le cicatrici in varie parti del corpo accumulate in quarant’anni di alpinismo, tutte le volte che in montagna ho sbagliato.
So che a volte la montagna mi lancia segnali che aumentano lo stato di allerta della mia corteccia cerebrale, piccoli segnali che vengono registrati ma non lasciano un segno tangibile.
Altre volte la montagna mi lascia un segno, la cicatrice appunto. Nella mia umanizzazione del rapporto con la montagna penso che questi segni e segnali ricevuti servano a tenermi distante dal grande definitivo, conclusivo ed irreparabile passo finale che cerchiamo sempre di schivare.
Naturalmente sappiamo benissimo che queste elucubrazioni mentali non esistono in quanto la montagna non pensa, non ragiona e non si rapporta con noi e alla fine basta una sola pietra al posto giusto per terminare il nostro percorso terreno!
Questa strana ed inconscia sensazione di sopravvivenza la chiamiamo anche esperienza alpinistica.

Vi racconto di un piccolo segnale che la montagna ha lanciato a me ed ai miei figli Francesco e Paolo, allora quindicenni e sedicenni.
Quel caldo pomeriggio estivo partimmo molto tardi, con l’obbiettivo di ripetere una via che avevo aperto 25 anni prima e che ricordavo, o almeno così pensavo, perfettamente.
Paolo tirò la via da capocordata mentre io e Francesco salivamo tranquilli, stupendomi sia della bellezza della via, oggi una classica della Val d’Adige, sia dei numerosissimi spit presenti: ne arrivai a contarne fino a 110. Ovviamente in apertura non ne usammo e abbiamo anche fatto un uso rarefatto di chiodi, 5 o 6, preferendo nut e stopper. Allora mi sembrava una via esplorativa che forse mai nessuno avrebbe più ripetuto.

Ma torniamo a noi… superiamo l’ultimo esposto traverso verso destra, saliamo una placca strapiombante e, per facili roccette – citazione di Castiglioni – siamo in vetta o meglio alla fine della parete.
Cosa facciamo ora? – mi incalzano i ragazzi -Torniamo in doppia o lungo il sentiero? Poiché la via sale in diagonale, le doppie si presentano ostiche e complesse e quindi decidiamo per la strada più sicura… il sentiero. Questo sentiero lo ricordo bene poiché oltre ad aprire la via ci siamo dovuti aprire anche il sentiero di avvicinamento e pure il sentiero del ritorno.

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Non so ancora se la corda basterà o se dovrò risalire i sessanta metri nel vuoto a colpi di prussik.
Paolo sul bel traverso ascendente verso sinistra (5c+).Francesco sul medesimo traverso. In apertura non venne utilizzato alcun chiodo ma solo qualche micro-nut volante.
Paolo sul bel traverso ascendente verso sinistra (5c+). Francesco sul medesimo traverso. In apertura non venne utilizzato alcun chiodo ma solo qualche micro-nut volante.

Camminiamo, camminiamo ma dopo un po’ cala il buio nel bosco, un buio pesto e noi siamo senza pila frontale: avanziamo ma troviamo l’esile traccia sbarrata da pericolosi salti rocciosi. È immediato realizzare che ci siamo persi. Dopo un breve conciliabolo, in cui Francesco ipotizza addirittura di chiamare il soccorso alpino, ipotesi immediatamente scartata da me, ci decidiamo di aspettare l’alba. Con la poca residua batteria telefono a casa a Chiara la quale incredula deve accettare di buon grado la soluzione proposta ricordandomi, ahimè, che ho la responsabilità di due giovani creature.

Nel mentre che ci cerchiamo un comodo giaciglio penso alla conformazione geologica della parete e mi sembra di ricordare che in questa zona non ci siano salti rocciosi più alti di sessanta metri e quindi facilmente superabili in doppia.
Questa nuova via di fuga accende la speranza nel gruppo familiare. Organizziamo una prima doppia di una quindicina di metri che ci cala direttamente sopra un grosso salto. Da qui preparo una seconda doppia unendo le due corde e già collegando i ragazzi con il discensore. Dopo pochi metri molto friabili, sotto i miei piedi si apre una paurosa spelonca che discendo nel vuoto. Non so ancora se la corda basterà o se dovrò risalire i sessanta metri nel vuoto a colpi di prussik… ma invece tocco terra.

Urlo ai ragazzi di scendere, giustamente esitano visto che non hanno mai fatto alcuna doppia nel vuoto, di notte e su un terreno sconosciuto. Ma uno ad uno partono vincendo la naturale paura. La presenza della luna allevia la solitudine della notte.
Io aspetto sotto, riparato dallo strapiombo, mettendo le corde in tensione per frenare la loro discesa. Come prevedevo arrivano giù scariche di sassi e razionalmente temo per le corde.
Non senza tensione ci riuniamo nella cengia sotto la spelonca ed in breve districandoci nel bosco arriviamo a valle nel cuore della notte.

“Ohi ragazzi quando si va in montagna portarsi sempre con sé una pila frontale! Stanotte è andata bene ma non abusiamo della buona sorte!”

Massimo Bursi

40 anni di arrampicate prevalentemente in Dolomite! Ora amo le vie lunghe e selvagge dove è naturalmente praticato il distanziamento sociale. Mi piace scribacchiare circa le mie avventure!


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