Una ad una le gocce scivolano sobbalzando sull’oblò del furgone, ad imitazione di quelle che rigano il viso.
Un sottile muro di lamiera è il confine che separa due universi opposti. Dentro, l’angoscia si alterna senza sosta al dolore mentre l’anima si disgrega fragile. Fuori, la pioggia si infrange crepitando nel fuoco indifferente attorno al quale i ragazzi brindano alla giornata di arrampicata.
I loro schiamazzi celebrano una realtà che ora mi è aliena e, dopo anni, eccomi di nuovo un estraneo.
Sulle ultime luci cala il sipario della notte e porta con sé l’amara consolazione dell’oblio oscuro, concedendo una fugace tregua al tormento. Dura solo un istante ed il grigio bagliore del cielo nuvoloso annuncia l’arrivo del giorno, nel silenzio irreale del campeggio ancora addormentato.
È tempo di avviarsi lungo il sentiero.
Il profumo del muschio e le radici degli abeti mi accompagnano al ponte sul torrente impetuoso, ma i passi non procedono in sincronia con l’assordante brusio della mente.
Sto cercando un rifugio nelle certezze che penso di avere.
I massi tra gli alberi evocano ricordi di felicità e spensieratezza e sono partito con l’illusione di poterli ritrovare, semplicemente tornando qui. Come un malato speranzoso, o forse rassegnato, ingurgito una medicina del tutto inutile. Non esiste cura quando non sei ancora pronto a guarire.
I sentieri si inoltrano nella penombra nebbiosa del bosco, sfregiando il verde brillante del muschio umido.
Da anni seguo queste tracce, eppure non riesco a ritrovare una direzione verso la quale dirigermi.
Paura, ho solo tanta paura. Quella cieca afflizione per l’inesistente in cui mi sono perso.
Guardo, osservo, ricerco. Invano. Senza un senso. Ciò di cui ho bisogno non esiste più e le certezze crollano come un castello di carte.
Tutt’intorno la magia si manifesta nel profumo arcaico degli alberi e del muschio, nei rumori soffusi del bosco e nella natura.
Stancamente barcollo senza meta, allontanandomi sempre più dalla salvezza, passo dopo passo.
Proseguire, lottare… È tutto inutile.
Basta! Basta dolore, sensi di colpa, vergogna. Basta!
L’orgoglio ed il finto coraggio si trasformano nello spaesamento di un bambino che, improvvisamente, si rende conto di brancolare in un mondo infinitamente più grande di lui.
Sull’umido granito di un masso sospeso mi getto a peso morto sul crash-pad, crocefisso nella definitiva resa.
Lo sguardo cerca l’immensità e la leggerezza del cielo, prima di chiudere gli occhi. Dentro di me le urla rimbombano più forti del respiro affannoso e del sordo battito del cuore che pulsa nelle orecchie.
Stop! Reboot…
Nell’abbraccio della terra ogni espirazione fluisce sulla melodia dei sospiri, portando finalmente il silenzio nella mente, mentre le afflizioni tentano di disperdersi nell’aria fresca della montagna. Sotto il dorso delle mani la consistenza decisa della roccia dà sostegno all’abbandono.
Tutt’intorno la magia si manifesta nel profumo arcaico degli alberi e del muschio, nei rumori soffusi del bosco e nella natura che celebra la sua essenza immortale, nello scorrere effimero degli esseri che la costituiscono.
Due scoiattoli si inseguono freneticamente lungo il tronco di un albero, accorgendosi solo all’ultimo della mia presenza. Un attimo… ed uno scatto fulmineo porta il primo a raggiungere la sicurezza degli alti rami. L’altro resta ad osservarmi, incurante di qualunque istinto di sopravvivenza, senza paura dell’ignoto.
Un minuto sospeso nel tempo, uno scambio reciproco tra un piccolo e un grande essere, anche se non capisco quale sia il mio ruolo tra questi. Ignaro di quanto stia accadendo, attorno a me è l’energia di angeli invisibili.
È arrivato il tempo di rialzarsi. Ho esplorato l’ultimo sentiero e qui non mi rimane più nulla.
Il bosco è Magia. L’incanto di attimi dove non esiste né passato, né futuro, ma solo un eterno susseguirsi di presente. Mi perdo in quello sguardo profondo senza pensare a nulla, senza più cercare risposte a quesiti senza soluzione. La perfezione del tutto si rivela nella sua incredibile semplicità… e capisco.
In quei piccoli occhi vedo brillare quelli del bambino che mi attende.
Senza fretta, senza voltarsi, lo scoiattolo torna alla sua vita libera e aerea, svanendo tra le fronde prima che io possa riportare lo sguardo alla terra.
Davanti a me vedo la via che devo percorrere.
È arrivato il tempo di rialzarsi. Ho esplorato l’ultimo sentiero e qui non mi rimane più nulla.
Una lieve brezza accarezza alberi e roccia, qualche raggio di sole perfora le nubi. In lontananza, si sentono riecheggiare diverse voci, segno dell’imminente arrivo di ospiti indesiderati.
Lentamente, un passo dopo l’altro, inizia per me il cammino del ritorno.
So che questo potrebbe essere un addio, l’ultima volta che mi inoltro tra questi alberi e questi massi, ma procedo senza sentire il bisogno di voltarmi indietro.
Poco più avanti serpeggia quella strada che mi riporterà ad una casa che non c’è più.
Ciò che posso vedere si estende nel raggio di pochi passi… oltre il sentiero si perde nell’oscurità più nera.
Non importa. Anche al buio ora conosco la mia direzione.
E non ho più paura.