TUTTO CIÒ CHE È LIBERO E SELVAGGIO
scritti per la salute della terra. Aldo Leopold. Piano B edizioni. Traduzione a cura di Luca Castelletti.
Abbiamo già raccontato di Leopold[2], figlio del pensiero naturalistico di Emerson, Burroughs e Whitman, uno che poteva essere al posto di Henry Fonda nell’epico film di John Ford[3], un medico della terra.
Tutto ciò che è libero e selvaggio, scritti per la salute della terra è diviso in due parti: nella prima, saggi pubblicati su riviste e giornali del tempo e, nella seconda, con un sottotitolo e visioni che sarebbero piaciuti a M.R. Stern, testi e appunti personali. Leggere quanto scritto da Leopold, uno degli anticipatori del concetto di wilderness, fa sollevare la cortina fumogena che molti professionisti della conservazione della natura hanno messo davanti ai nostri occhi per essere loro, e solamente loro, i depositari del fuoco sacro. E sulla conservazione l’autore è chiaro: è un utile e positivo esercizio di abilità e intuizione anziché una pratica negativa di astinenza e cautela. Abilità e cautela che, ad esempio, gli fa porre domande come: sterminare i lupi[4] è stato un errore? un bosco privo di lupi è considerabile un bosco a tutti gli effetti?
La vita di Leopold è, a suo modo, con le sue ferme convinzioni religiose, una vita rivoluzionaria e di rivolta, contro il tedio generato dall’approccio meramente economico nei confronti della terra. La rivoluzione fatta seguendo Vangeli anche inusuali: nella sua fattoria c’è uno stagno[5] dove numerose famiglie di contadini amano recarsi la domenica perché, scrive, nel 1940 (!) potreste trovarvi a pregare nella speranza che cada un poco di pioggia. Lo scrittore ecologista sa bene che il disastro è incombente, che la gente non cambierà le proprie abitudini per timore dello stesso e che solo lasciando spazio a curiosità e gentilezza potremo piantare larici (…) e sarà giunto il momento di mettere in atto pratiche di conservazione. Una rivoluzione, la sua, che non si accontenta di delegare allo Stato la conservazione di tutta la bellezza che un fiume di nome Giglio ci può donare, un fiume che sceglie accuratamente i suoi uccelli, che si intristisce al taglio dei suoi pini, un fiume che abita i sogni dei pescatori perché è consapevole che questa delega significa conseguenze letali in termini di progresso sociale e logoramento della stessa struttura della società.