Alla mattina dopo colazione, nella hall dell’albergo facciamo amicizia con un dottore canadese, in vacanza con la figlia, che ci consiglia di acquistare un prodotto in farmacia che allevia i sintomi del mal di altitudine. Ci scrive su un bigliettino il nome della medicina in ideogrammi, che mostro poi al farmacista per l’acquisto. Il prodotto è a dir poco miracoloso, ma dopo 10 anni non ho ancora capito cosa fosse.
Possiamo a questo punto iniziare il nostro giro. Lhasa antica è bellissima, il Potala è grandioso e visibile da ogni parte della città, ma anche i monasteri di Sera e Drepung sono affascinanti, Qui vediamo i monaci che insegnano ai bambini, ed al termine della lezione fanno un gesto con le due mani a rappresentare “il taglio dell’ignoranza”. Esiste poi anche una Lhasa moderna, molto efficiente, pulita e ordinata, ma anonima e completamente “cinesizzata”.
Girare a piedi per le stradine di Barkhor, la vecchia zona del mercato di Lhasa, è una esperienza unica. C’è una moltitudine di persone intorno a noi, giovani ed anziani, i più vecchi vestono con abiti tradizionali tibetani, i più giovani invece in stile “occidentale”. Tantissimi seguono il percorso che gira intorno al Jokhang, il tempio probabilmente più sacro del Tibet, genuflettendosi ad ogni passo. È una pratica estenuante e faticosa ed il percorso molto lungo, qualcuno lo compie con il semplice supporto di 4 tavolette di legno da mettere sotto le ginocchia ed i gomiti.
In generale le persone che incontriamo sono un po’ restie e sfuggenti nei nostri confronti, purtroppo in centro città, più che in altri luoghi, il clima di oppressione è evidente, ci sono telecamere dappertutto e polizia sui tetti. Le proteste avvenute nel 2008 a Lhasa hanno portato ad un inasprimento delle condizioni di controllo e censura e la gente ha timore a parlare con gli occidentali.
Il giorno successivo i nostri due “angeli custodi” ci raggiungono con il fuoristrada ed iniziamo il viaggio lungo la cosiddetta “strada dell’amicizia” che collega Lhasa con Kathmandu. Viaggiamo verso il monastero di Samye e poi verso quello di Trandruk, dove esiste un famoso thangka composto da 29000 perle.
Le nostre tappe sono a Tsedang e poi Gyangtse che raggiungiamo dopo un lunghissimo viaggio attraverso un percorso spettacolare che parte dalla vallata del fiume Yarlung e si inerpica fra cime e ghiacciai superando il passo di Khamba La, costeggiando il lago Yamdrok, e attraversando il passo di Karo La (5045 metri). A 5000 metri il clima è freddo e secco. Noi ci siamo abbastanza acclimatati, e grazie anche alla medicina miracolosa del nostro medico canadese, l’altitudine non la sentiamo più.
Visitiamo il monastero Palkhor Choide ed il chorten Kumbum, il cui nome significa letteralmente “centomila immagini” per indicare il grande numero di dipinti e statue di divinità che ospita. Scattiamo fotografie a raffica, uno dei benefici del digitale è che non dovremo dilapidare una fortuna negli sviluppi.
Proseguiamo per Shigatse e visitiamo il monastero di Tashi Lhunpo, edificato nel 1447 e caratterizzato dal tetto dorato che domina la cittadina. Vogliamo fare il giro esterno delle mura e ci avviamo inconsapevolmente sul percorso in senso antiorario. Dopo un tratto di strada incrociamo dei fedeli che stanno percorrendo il tragitto in senso opposto, facendo girare le ruote della preghiera poste lungo il sentiero. Quando ci incontrano ci prendono a male parole (o meglio, io non capivo il significato, ma il tono della voce pareva tale) e ci indicano che il senso corretto è quello inverso (senso orario). A quel punto, invertiamo la marcia ed impariamo anche noi che in questo paese tutto gira in senso orario.
Il giorno successivo visitiamo il monastero di Shakya, fondato nel 1073, per raggiungere poi Shegar da dove iniziamo la discesa verso la vallata attraversando villaggi e splendidi paesaggi. Incrociamo molti contadini, con le loro pale in spalla che camminano verso casa. Qui l’agricoltura è difficile, siamo molto in alto, la terra è dura e non ci sono macchine.
Prima di ridiscendere ai 2500 metri di Zhangmu bisogna superare l’ultimo altissimo passo Lalung La, a 5220 metri, da dove si potrebbe osservare lo Shishapangma, una delle più alte cime della catena himalayana, se solo le nuvole quotidiane non ne ostruissero la vista.
Ultima tappa in Tibet è Kodari al confine con il Nepal. Qui salutiamo la nostra scorta, sono stati molto gentili ma la loro presenza, spesso non richiesta è stata veramente opprimente. Fanno il loro dovere, ma essere controllati tutto il giorno da due estranei non ti fa certo sentire a proprio agio.
Attraversiamo il “ponte dell’amicizia” che collega le due rive del fiume Bhotekoshi e rientriamo verso Kathmandu con un taxi. Piove a dirotto e la strada è brutta, stretta e con quasi nessuna sicurezza, attraversata da camion puzzolenti e bus stracarichi, con valigie, pacchi e persone sul tetto!