Un giorno imparerò a cavalcare come un uomo. Mi dicono che i fiumi sono in piena, un uomo in motocicletta mi dice di stare attenta ad attraversare i fiumi, qualcuno è morto la scorsa settimana. Lo ringrazio. Penso che mi piacerebbe imparare ad arrampicare un giorno. Il mio corpo fa male, ogni cosa, le spalle sono quelle peggiori. Pianto la tenda la sera insieme agli scalatori e al gruppo di gauchos. Un ragazzo mi dice che il mio zaino è molto grande, se sono venuta ad arrampicare. No, non si può arrampicare soli, gli dico. Mi sento come un cane rabbioso. Voglio stare da sola e ululare alla luna. Vorrei che tutti stessero in silenzio ad ascoltare gli uccelli che stanno cantando, che tutti uscissero a guardare la notte. Poi, un cavallo imbizzarrito attraversa la radura. Sento gli zoccoli che fanno tremare la terra su cui appoggio la tempia. Galoppa libero dalle redini e scompare nella foresta, verso le montagne.
La mattina all’alba mi rimetto in cammino, prima che tutti si sveglino, voglio sparire senza lasciare traccia, senza che nessuno mi veda. Vado verso il Paso del Leòn, un percorso di cinque giorni tra le montagne che mi avrebbe portato al Lago Tagua Tagua. Chiedo indicazioni ai gauchos seduti intorno al fuoco, già svegli e pronti per la giornata di lavoro. Mi dicono di seguire il fiume. Dopo circa sei ore di cammino mi distraggo e perdo traccia del sentiero. Non c’è nessuno questa volta. Provo ad ascoltare il suono del fiume, sento che è vicino, ma non riesco a raggiungerlo, davanti a me un muro di roccia e dietro di me gli alberi caduti, troppo fitti per farmi passare. Cado sugli arbusti secchi con il peso dello zaino, mi taglio una gamba e urlo.
Continuo a girare in tondo finché non mi arrendo, trovo un piccolo punto piano e decido di piantare la tenda e passare lì il resto della giornata e la notte. Raziono il cibo per passare il tempo. Ne avrei abbastanza per cinque giorni al massimo, stessa cosa con il gas, una bomboletta e mezzo. Medico la ferita. Prima di addormentarmi, mi rannicchio dentro il sacco a pelo, tirando la zip fin sopra la testa. Inizio a cantare una vecchia canzone, che avevo sentito cantare da una madre alla sua bambina, la notte prima di lasciare l’Italia. Penso alla morte, piango nella notte per le persone che amo e che dovrò lasciare addolorate. Gli chiedo scusa. Per me, non ho paura.
Mi sveglio con gli occhi incrostati, sento un rumore provenire dalla boscaglia. Forse, se tagliassi ogni singolo ramo con il coltellino, riuscirei ad uscire da questo pasticcio, ma ci vorrebbero troppi giorni e morirei di fame. Strano come il mio cervello possa pensare così velocemente mentre il cuore batte calmo. Il rumore è sempre più vicino, un animale o forse una persona. Inizio a urlare e poi, davanti a me, come un fantasma, compare un uomo anziano a cavallo. Mi guarda, ma è come se fosse cieco, il suo sguardo è altrove. Il cavallo è color nocciola e ha i capelli bianchi. Molti maglioni addosso, i pantaloni come se indossasse una pecora sulle gambe e un machete nella mano sinistra.
Mi mostra la via, con la mano in cui non tiene le redini, e se ne va.
Faccio lo zaino ancora una volta, come una mattina normale, in modo militare; il sacco a pelo per primo, le cose per cucinare a destra, quelle per lavarmi a sinistra. Prima di rimettermi in cammino tiro fuori il mio quaderno, e a lettere molto piccole, senza consumare lo spazio prezioso sulla carta, scrivo:
numero due, mai attraversare il fiume con gli scarponi
numero tre, mai guardarsi indietro
numero quattro, quando ti perdi,
c’è sempre una via di fuga.
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foto:
1. Paesaggio della Patagonia cilena, verso il Parque Nacional Queulat.
2. Ricardo, attivista del movimento Puelo Sin Torres, con la sua gatta in un giorno di pioggia.
3. Occhio di cavallo di un gaucho nella Valle di Cochamò.
E’ un bel racconto anche se triste e duro, ma forse il bello è proprio questo.
Condivido tanto il punto Uno: ogni azione ha un conseguenza ed ancora di più il Punto Tre: mai guardarsi indietro.
Secondo me, è molto pericoloso guardarsi indietro perchè se le cose che uno fa, lo sono in buona fede, attardarsi sul passato può essere terribile ed è un esercizio inutile che non porta a nulla di buono. Purtroppo, a volte o spesso, uno cade in questo errore e sono dolori; almeno per me è così.