La mia mente è lucida, sono estremamente presente a me stesso, concentrato, convinto che usciremo, che sarà una bella scalata, che la parte più pericolosa è passata. La parete si fa verticale e si inizia a scalare per davvero, sono costantemente alla ricerca del percorso migliore, e come mille altre volte, lascio che sia l’istinto a guidarmi, alcune lunghezze di corda sono esteticamente stupende, altre, orride e terribilmente insidiose. Le parole che ci scambiamo sono pochissime: pietra, sosta, molla tutto, parto. I pericoli, invece, numerosissimi: sassi che precipitano continuamente, soste precarie e arrampicata spesso su roccia davvero pessima.
In momenti come questi numerose sono le domande che si palesano nella mia mente, una su tutte: Perché? Ecco, in momenti così, distrutti nel corpo e nell’anima da ore di scalata su pareti pericolosissime, forse anche noi alpinisti perdiamo per un attimo il senso di ciò che facciamo, Mi guardo intorno e non vedo nulla di divertente, solo sguardi stanchi pieni di preoccupazione e paura. In questi istanti però, capisco davvero ciò che mi manca, i miei genitori, la mia ragazza, qualche amico, il mio cane e il tramonto dalla finestra di casa. Forse è per questo che veniamo qui, ci allontaniamo il più possibile dalla vita per poter capire ciò che ci mancherebbe se la perdessimo, e proprio mentre siamo qui, a scambiare la nostra esistenza con qualcosa di impalpabile, inutile ed indimostrabile, sentiamo tutta la voglia che abbiamo di continuare questa vita, di farla di nuovo nostra.
Dove tutto perde senso, improvvisamente, lo ritrova, è un paradosso, ma è così. Arriverò in cima perché voglio rivedere le persone care, il tramonto, mangiare una pizza con gli amici e leggere un libro. E ogni volta pensiamo tutti le solite stronzate: “Non farò mai più gite così pericolose”, ma in cuor nostro sappiamo che non sarà così, come il bambino che dice alla mamma che non lo farà più solo per essere graziato una volta ancora. Quando smetteremo per davvero nessuno può dirlo.
Riprendo la lucidità che sembrava persa e scalo con più energia di prima, delle pietre che mi schivano non mi preoccupo neanche, ormai so che usciremo di qui, il desiderio è troppo forte. Solo chi ha vissuto avventure del genere può capire cos’abbia provato una volta sbucato a pochi metri dal santuario di vetta, solo chi è andato così vicino al confine con la morte può capire quanto valga e sia davvero meravigliosa la vita. La montagna ci ha voluto bene oggi, il merito di essere ora tutti e cinque qui abbracciati e commossi non è di certo solo nostro, ma di chi ha deciso di lasciarci passare indenni. Che sia un Dio, degli spiriti di persone care o semplicemente il destino questo non ci è dato a sapersi.
Era inevitabile arrivassimo in cima, era una storia scritta, ma questo non potevamo saperlo mentre eravamo attaccati come formiche ad una parete immensamente più grande di noi. C’è chi ci giudicherà incoscienti, irresponsabili e forse avrà ben donde di pensarlo, ma so che c’è chi capirà, chi capirà che ogni tanto, durante la nostra esistenza, si senta il bisogno di mettersi in gioco, di capire per davvero cosa renda straordinaria questa vita, ovvero, la sua estrema fragilità. E si allora, si vive per davvero solo due volte, una quando si nasce, e l’altra quando si guarda in faccia la morte.
Ma ora basta tormentarsi, immaginateci solo lì, abbracciati in vetta, con gli occhi lucidi e un sorriso di gratitudine sulla faccia.
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foto:
1. Io e mio cugino in cima al Rocciamelone durante il primo tentativo della parete Sud-Ovest.
2. Tiri di corda nella parte mediana della parete.
3. Ultimi tiri di corda a fianco dell’orrido colatoio che si origina dalla vetta.